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Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
ArteWorld.

Analizziamo un fondamentale lavoro realizzato dall’artista del Seicento Artemisia Gentileschi, una donna che grazie alla propria tecnica e bravura, è riuscita a ritagliarsi un posto importante tra i tantissimi nomi di artisti maschili che hanno dominato il mondo della storia dell’arte moderna. Abbiamo conosciuto qualche caratteristica dello stile di Artemisia Gentileschi grazie all’analisi dell’opera Madonna col Bambino, che, nonostante si trattasse di un quadro appartenente al periodo giovanile dell’artista, ella già dimostrava il suo grande talento per la pittura. Oggi scopriremo il quadro “Giaele e Sisara”.

Qui potrete leggere tutte le informazioni sull’eroina che uccise generale Sisara ed in particolare tutto quello che riguarda il quadro “Giaele e Sisara” Artemisia Gentileschi, tra cui data di realizzazione, dimensioni e luogo di conservazione, per poi passare alla descrizione approfondita dell’opera.

Giaele e Sisara Artemisia Gentileschi analisi

“Giaele e Sisara” Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1620

Dimensioni: 86 x 125 cm

Dove si trova: Szépművészeti Múzeum, Budapest

Proprio come accadde anche con il quadro Ester e Assuero, anche in questo caso Artemisia Gentileschi realizza un’opera con un soggetto tratto dall’Antico Testamento. Per chi non conoscesse la storia, in questo lavoro viene ritratta la scena in cui Giaele porta all’interno della propria tenda il generale nemico Sisara, il quale è stato sconfitto dal popolo d’Israele, e mentre quest’ultimo dorme, la donna lo uccide piantandogli un picchetto della tenda nella testa.

La scena riprodotta da Artemisia non si rappresenta l’esatto istante in cui l’eroina uccise generale Sisara, bensì l’attimo immediatamente precedente: i toni sono molto calmi, quasi come se tutta la scena fosse pervasa da un’atmosfera di tranquillità; Sisara sta dormendo in modo pacifico sul grembo della donna, e quest’ultima lo guarda mentre dorme; solo alzando lo sguardo, è possibile notare l’altro braccio di Giaele, la quale trattiene tutto il necessario per eliminare l’avversario, pronta ad eseguire il suo dovere.

Artemisia, in questo lavoro si pone in una posizione contrapposta rispetto ad altri artisti, i quali in passato, hanno riprodotto questa scena evidenziando il bell’aspetto del generale ucciso; Artemisia Gentileschi, in questo “Giaele e Sisara”, dipinge un uomo giovane ma non molto gradevole d’aspetto.

Tecnicamente, il quadro è ben fatto: il gioco di luce e di ombre mette in primo piano i due personaggi, eliminando completamente qualsiasi elemento ambientale, e dando la possibilità allo spettatore di concentrare la propria attenzione sui due protagonisti e ciò che sta avvenendo; il martello che Giaele impugna, è celato nell’ombra e sembra essere tutt’uno con l’oscurità, e di conseguenza, simboleggia il prossimo attacco a sorpresa da parte della donna. In primissimo piano, sulla sinistra della tela, è possibile scorgere una spada: questa probabilmente appartiene a Sisara, e trovandosi a distanza da lui, indica la sua impossibilità di difendersi da qualsiasi attacco.

I colori sono decisi e ben distribuiti sulla tela: c’è il rosso ed il blu chiaro utilizzato per i vestiti di Sisara ed un giallo oro per rappresentare la veste di Giaele; grazie a questo sapiente uso di colori, mescolato al chiaroscuro sulla tela, i due protagonisti risaltano in modo netto nel quadro.

Giaele e Sisara di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Cleopatra di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Cleopatra di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Scopriamo tutto quello che riguarda un interessante lavoro di Artemisia Gentileschi, pittrice molto attiva nel Seicento, i cui quadri hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte moderna; nonostante la sua carriera artistica sia stata colma di imprevisti e difficoltà a causa del suo sesso, ella ha ottenuto un successo straordinario con il passare dei secoli, fino a diventare una delle artiste più conosciute nel mondo contemporaneo. Abbiamo scoperto del suo stile attraverso lo studio del quadro Giaele e Sisara, un lavoro il cui soggetto appartiene al Vecchio Testamento. Qui potrete trovare tutto quello che riguarda un altro quadro di Artemisia Gentileschi, ovvero “Cleopatra”.

In questo articolo potrete leggere tutte le informazioni legate al quadro “Cleopatra” Artemisia Gentileschi, quale data di realizzazione, dimensioni, luogo di conservazione e successivamente la descrizione approfondita della composizione.

Cleopatra Artemisia Gentileschi analisi

“Cleopatra” Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1620

Dimensioni: 97 x 71,5 cm

Dove si trova: Fondazione Cavallini-Sgarbi, Ferrara

Prima di procedere oltre, è bene sapere che sono presenti diversi lavori di Artemisia Gentileschi intitolati entrambi “Cleopatra”, e presentano delle sostanziali differenze. Noi faremo riferimento a quello più popolare e particolare all’interno di questo articolo. Il dipinto, in origine non è stato attribuito alla figura di Artemisia Gentileschi, bensì ad un altro importante artista suo contemporaneo, ovvero Guido Cagnacci, ma successivamente, con il passare del tempo e con delle analisi stilistiche più approfondite, è stato definitivamente deciso che il quadro fosse di Artemisia Gentileschi.

In questo lavoro, la protagonista è Cleopatra, la famosa regina egizia del periodo tolemaico. Pur trattandosi di una figura di grande importanza, Artemisia Gentileschi dipinge in modo completamente differente la donna, eliminando tutta la sua aura regale: nella composizione, la regina è rappresentata nuda, sgraziata e con delle forme molto realistiche, ben lontane dai modelli di perfezione fisica con i quali venivano identificati i personaggi dell’antichità.

In “Cleopatra”, la donna è rappresentata in uno spazio scuro, con una fonte di luce proveniente dalla sinistra e che la illumina, mettendo in risalto il suo fisico; con un braccio, in primo piano, seppur poco visibile, trattiene un aspide, che secondo le fonti è stato l’animale da lei scelto per farsi mordere e così morire nel mausoleo dei Tolomei.

Artemisia dipinge la regina con lo sguardo rivolto verso l’alto ed un’espressione disillusa, pronta ad accettare il suo tragico destino. La pelle di Cleopatra è molto pallida ed è in netto contrasto con il velo che compre una sua gamba in primo piano, realizzato con un rosso molto deciso. Il forte contrasto presente nella scena ricorda molto i quadri di Caravaggio.

Cleopatra di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Giuditta con la sua ancella di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Giuditta con la sua ancella di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Scopriamo tutte le informazioni relative ad uno dei più importanti quadri di Artemisia Gentileschi, popolare artista del Seicento, la quale oltre ad essersi distinta, poiché donna, in un mondo di artisti uomini, aveva uno stile molto elaborato, le cui opere ricordavano molto da vicino lo stile di Caravaggio. Abbiamo apprezzato molto delle caratteristiche stilistiche di Artemisia Gentileschi attraverso l’analisi del quadro Cleopatra, ed oggi proseguiremo il nostro viaggio andando a conoscere “Giuditta con la sua ancella”.

In questo articolo potrete leggere l’analisi completa della “Giuditta con la sua ancella” Artemisia Gentileschi, i dettagli tecnici e tante altre informazioni, così da avere una panoramica completa dell’opera della popolare artista del Seicento.

Giuditta con la sua ancella Artemisia Gentileschi analisi

“Giuditta con la sua ancella” (versione Detroit) Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1625-1627

Dimensioni: 182,2 x 142,2 cm

Dove si trova: Detroit Institute of Arts, Detroit

Il quadro, così come tanti altri lavori presenti nella produzione artistica di Artemisia Gentileschi, rappresenta un momento raccontato all’interno della Bibbia. In particolar modo, in questo ritratto, ella sceglie di rappresentare Giuditta e la sua fedele ancella pronte a scappare dalla tenda del generale che hanno ucciso qualche momento prima.

Le due donne, protagoniste della composizione vengono dipinte mentre sono in preparazione per la fuga: in piedi, Giuditta, vestita con un abito giallo e finemente decorato, sta pensando a dove poter nascondere la spada con la quale qualche minuto prima, ha decapitato il feroce Oloferne; con l’altra mano, sembra quasi che voglia spegnere la candela, così da avere l’oscurità a proteggere la sua fuga e quella dell’ancella che l’ha aiutata.

L’ancella, intanto, in ginocchio sul lato destro de “Giuditta con la sua ancella”, osserva le azioni di Giuditta, mentre con l’altra mano sta mettendo la testa di Oloferne all’interno di un telo per poterla portare con se, senza generare sospetti.

L’incredibile abilità di Artemisia Gentileschi è rintracciabile in alcuni elementi fondamentali presenti in questo quadro: sono presenti tantissimi dettagli nella scena, che la rendono eccezionalmente realistica; sulla sinistra si trova un tavolino con sopra un porta candela, il fodero della spada impugnata da Giuditta e proprio all’estrema destra, si trovano i resti dell’armatura di Oloferne (che il generale si è tolto in precedenza, rimanendo completamente senza difese).

Il panneggio delle vesti delle due protagoniste e l’attenzione riservata ai gioielli indossati da Giuditta testimoniano il grande impegno imposto da Artemisia nella composizione; da notare anche tutti i dettagli dipinti sull’elsa della spada di Giuditta ed anche l’eccezionale realismo della tenda, color rosso scuro che si trova in alto a destra de “Giuditta con la sua ancella”.

Il chiaroscuro presente nella composizione dimostra l’influsso della pittura del Caravaggio citato in precedenza, ed inoltre permette di capire quanto Artemisia abbia appreso la lezione artistica del Merisi.

Oltre a questa versione di cui abbiamo parlato approfonditamente, è presente un omonimo lavoro, sempre opera di Artemisia Gentileschi, conservato a Palazzo Pitti.

VERSIONE FIRENZE

Come già accennato, esiste un altro lavoro con stesso titolo, realizzato sempre da Artemisia Gentileschi e conservato all’interno dell Palazzo Pitti.

Qui potrete leggere tutte le informazioni di ambito tecnico e stilistico su “Giuditta con la sua ancella” Artemisia Gentileschi conservata a Firenze.

Giuditta con la sua ancella Artemisia Gentileschi Palazzo Pitti Firenze analisi

“Giuditta con la sua ancella” Artemisia Gentileschi (Versione Firenze)

Data di produzione: 1618-1619

Dimensioni: 114 x 93,5 cm

Dove si trova: Palazzo Pitti, Firenze

Differentemente dalla versione descritta in precedenza, conservata a Detroit, su questa abbiamo qualche informazioni legate alla sua storia: si ha la prima citazione scritta di quest’opera di Artemisia nel 1637, nell’inventario della Guardaroba di Palazzo Pitti. L’opera, fin da quell’anno sembrerebbe essere rimasta nel luogo dov’è tutt’ora esposta.

In questa versione fiorentina dell’opera, Artemisia sceglie di rappresentare le due protagoniste mentre stanno per fuggire dalla tenda del generale Oloferne; la donna rappresentata di fronte è Giuditta, la quale appoggia sulla propria spalla la spada con cui ha ucciso il nemico; di spalle, in modo speculare, è presente l’ancella che l’ha aiutata a perpetuare il delitto, mentre porta, nascosta in una cesta, la testa di Oloferne.

Facendo attenzione, è possibile notare che, mentre Giuditta regge con una mano la spada, con l’altra sembra trattenere l’ancella, come se avessero sentito un rumore di qualche guardia, e stiano di conseguenza cercando di non attirare l’attenzione per fuggire senza problemi.

La fonte della luce in questo quadro di Artemisia proviene dalla sinistra della composizione, ed illumina le due donne, permettendo agli spettatori di ammirare il finissimo lavoro realizzato da Artemisia nella realizzazione minuziosa dei dettagli: l’impugnatura della spada è perfettamente decorata, così come anche il suo vestito, ed inoltre la realizzazione dei capelli della protagonista è molto realistica, poiché, nella precedente colluttazione, sembra che una ciocca della sua acconciatura non sia più in ordine. Anche l’espressione pensierosa di Giuditta, la quale teme di essere scoperta, merita attenzione e denota la grande abilità di Artemisia Gentileschi.

 

Giuditta con la sua ancella di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Allegoria dell’Inclinazione di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Allegoria dell’Inclinazione di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Analizziamo da vicino tutto quello che riguarda un quadro di Artemisia Gentileschi, popolare artista del Seicento, autrice di tanti lavori che hanno lasciato un segno indelebile nel mondo della storia dell’arte moderna. Molti dei quadri realizzati da questa artista hanno per soggetto un tema biblico, come abbiamo già visto nelle varie versioni di Giuditta con la sua ancella, ma il lavoro che andremo a conoscere oggi è intitolato “Allegoria dell’Inclinazione”.

In questo articolo potrete leggere tutte le informazioni e dettagli su “Allegoria dell’Inclinazione” Artemisia Gentileschi, quali data di realizzazione, dimensioni, luogo di conservazione ed anche la descrizione precisa di tutta la composizione di questo olio su tela.

Allegoria dell'Inclinazione Artemisia Gentileschi analisi

“Allegoria dell’Inclinazione” Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1615-1616

Dimensioni: 152 x 61 cm

Dove si trova: Casa Buonarroti, Firenze

Prima di passare alla vera e propria descrizione del quadro di Artemisia Gentileschi, è doveroso soffermarsi sull’identità ed importanza del committente; colui che richiese quest’opera fu Michelangelo Buonarroti il giovane, pronipote del leggendario ed omonimo artista, il quale richiese quest’opera che rappresentasse tutte le qualità artistiche del suo popolare parente.

La donna rappresentata in “Allegoria dell’Inclinazione” in origine era nuda, e tra le mani sorreggeva una bussola, mentre intorno era circondata da molte nuvole ed una piccola stella presente nella parte in alto a destra di questa composizione mette in luce l’acconciatura poco aggiustata dei propri capelli.

In origine la donna soggetto del quadro non indossava alcun tipo di abito ed era completamente nuda, ma poiché era considerata oscena una nudità integrale in quegli anni, allora Michelangelo Buonarroti il giovane, ordinò a Baldassarre Franceschini di coprire immediatamente le nudità della protagonista, realizzando così i drappeggi che si attorcigliano attorno al corpo della donna.

Sono stati fatti diversi studi riguardo l’identità della donna protagonista della composizione, ma la stragrande maggioranza della critica tende a riconoscere in questo soggetto un autoritratto Artemisia Gentileschi quando aveva appena ventidue anni. La scelta di utilizzare se stessa come soggetto potrebbe indicare una sorta di celebrazione del proprio percorso artistico.

Il quadro, realizzato dall’artista poco più che ventenne, non mostra ancora gli influssi della pittura di Caravaggio, (come il chiaroscuro ed il gioco di luci e ombre) che in seguito avrebbe rappresentato un modello di ispirazione per le opere più conosciute di Artemisia Gentileschi.

Allegoria dell’Inclinazione di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Danae di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Danae di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Andiamo a conoscere tutti i dettagli di uno dei più importanti lavori realizzati nella carriera di Artemisia Gentileschi, pittrice del Seicento, la quale grazie alla propria tenacia e risolutezza, è riuscita a ritagliarsi uno spazio importante nel mondo dell’arte moderna, dominata unicamente da figure maschili. Abbiamo già visto qualcosa dello stile di Artemisia grazie all’opera Allegoria dell’Inclinazione, un quadro commissionato da un parente di Michelangelo Buonarroti. Oggi andremo a conoscere tutti i dettagli del quadro “Danae”.

Qui potrete leggere tutto quello che riguarda “Danae” Artemisia Gentileschi, tra cui la data di creazione dell’opera, le dimensioni, il luogo di conservazione e successivamente anche un’analisi approfondita per conoscere tutto quello che riguarda questa importante tela.

Danae Artemisia Gentileschi analisi

“Danae” Artemisia Gentileschi

Data di produzione: 1612

Dimensioni: 40,5 x 52,5 cm

Dove si trova: Saint Louis Art Museum, Missouri

Questa Artemisia Gentileschi “Danae” è stata a lungo al centro di molte discussioni, poiché non è stato mai ben chiaro se questo quadro fosse stato realizzato dal padre della pittrice Orazio Gentileschi, oppure fosse frutto del talento della stessa Artemisia Gentileschi. A rendere ancora molto attuale questo dibattito è il fatto che questa “Danae” assomigli molto ad una copia della “Cleopatra” di Orazio; a favore di Artemisia, invece, c’è il fatto che la data di realizzazione dell’opera, ovvero il 1612, corrisponda perfettamente al periodo durante il quale, la donna si trovava all’interno della bottega del padre, cercando di affinare il proprio stile, imitando proprio quello di Orazio.

La storia narrata in “Danae” Artemisia Gentileschi risale ad un racconto della mitologia greca, secondo il quale, Zeus, il padre delle divinità, per incontrare ed unirsi con la bellissima Danae, si trasformò in pioggia d’oro, poiché la ragazza era stata rinchiusa dal padre all’interno di una stanza tutta fatta in bronzo.

in questo quadro, Artemisia accentua moltissimo il fattore erotico, come si può evincere dalla presenza di Danae completamente nuda, dalle forme rotonde del suo corpo e dallo sguardo (e la sua espressione), intrisa di piacere. Grande attenzione è riservata anche alle pieghe del letto, estremamente realistiche, così come la resa del velluto sul quale è disteso la protagonista, il cui colore è in netto contrasto con il colore pallido del corpo di Danae.

Dietro la protagonista sta arrivando la pioggia d’oro, che pian piano si avvicina al corpo di Danae, mentre in secondo piano, un’ancella che dovrebbe proteggere e servire la sua padrona, è completamente accecata dalla bramosia dell’oro, e cerca di prendere quante più gocce d’oro possibili all’interno della propria veste.

L’eccellente gioco di luci ed ombre nella composizione permette la messa in primo piano di Danae e del letto dove viene consumato il rapporto con Zeus, mentre del resto della camera di bronzo non si intravede nulla, se non un drappo nella parte in alto a destra della tela, appena accennato dietro l’ancella.

Il colore della veste dell’ancella in Artemisia Gentileschi “Danae” è stato realizzato con un blu scuro, anch’esso in contrasto con il rosso del velluto presente sul letto.

 

Danae di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Susanna e i vecchioni di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Susanna e i vecchioni di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Studiamo tutti i dettagli di uno dei quadri più importanti realizzati nella carriera artistica di Artemisia Gentileschi, pittrice eccelsa del Seicento, la quale non ha avuto una vita nel mondo dell’arte molto facile, poiché in quegli anni l’ambiente era dominato unicamente da uomini, rendendo impossibile alle donne dedicarsi all’arte. Abbiamo scoperto molto dello stile di Artemisia Gentileschi attraverso l’analisi del quadro Danae, ispirato ad un antico mito greco. In questo articolo andremo a conoscere invece Artemisia Gentileschi “Susanna e i Vecchioni”.

Qui potrete leggere tutti i dettagli, sia di carattere tecnico (come dimensioni, luogo di conservazione e data di realizzazione) ed anche informazioni di ambito artistico, come la descrizione de “Susanna e i vecchioni” Artemisia Gentileschi.

Susanna e i vecchioni Artemisia Gentileschi analisi

“Susanna e i vecchioni” Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione. 1610

Dimensioni: 170 x 119 cm

Dove si trova: Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden, Germania

Questo Artemisia Gentileschi “Susanna e i vecchioni” è stato un lavoro molto studiato e discusso tra i critici, poiché è messa in dubbio la possibilità che la tela possa essere stata realizzata dalla giovane pittrice. Facendo riferimento alla data di realizzazione, ovvero il 1610, la donna doveva avere a malapena diciassette anni, e secondo le fonti, il padre, Orazio Gentileschi, lo mise in esposizione per dimostrare l’eccelso talento della figlia.

Tenendo conto dell’età della ragazza, i critici hanno a lungo creduto che “Susanna e i vecchioni” fosse opera di Orazio, e che la firma della ragazza fosse stata riportata unicamente per pubblicizzare la giovane Artemisia. Dopo lunghe discussioni, attualmente si ritiene che il quadro sia opera di Artemisia Gentileschi, ma si pensa anche che nella realizzazione abbia partecipato senza dubbio il padre.

Il soggetto dipinto nel quadro è tratto liberamente dall’Antico Testamento, se precisamente dal Libro di Daniele: la storia narra che, Susanna, una donna casta, venne sorpresa mentre era al bagno da due uomini anziani, i quali erano conoscenti del marito; i due uomini, vedendo Susanna nuda, cominciarono a ricattarla, obbligandola a cedere alle loro richieste sessuali, oppure andranno a riferire al marito Daniele una bugia, dicendo di averla sorpresa con un amante. Susanna rifiutò la minaccia e nonostante i due uomini andarono a riferire a Daniele la bugia, egli successivamente riuscì a far emergere la verità.

Nella composizione dipinta da Artemisia, viene riportato il momento topico della storia, ovvero mentre i due uomini stanno tramando per ingannare Susanna e quest’ultima, impaurita e disgustata, cerca di allontanarsi dai malintenzionati. Non ci sono elementi di contorno che possano distrarre l’attenzione dell’osservatore, ma solo i tre protagonisti, disposti in posizione piramidale.

Molto interessante è la riproduzione di uno dei malintenzionati, ovvero quello più in alto nella “piramide”: questo non sembrerebbe essere un “vecchione”; secondo gli studi, questo potrebbe essere Agostino Tassi, un pittore attivo nel Seicento e secondo le testimonianze, sarebbe stato accusato di stupro ai danni di Artemisia nel Febbraio del 1612.

Differentemente da altri lavori di Artemisia Gentileschi in cui si nota un forte influsso della pittura caravaggesca, questo quadro sembra essere differente: infatti non è presente il forte chiaroscuro che mette in risalto i personaggi tradizionalmente presente nei quadri di Caravaggio ed altri di Artemisia.

Molto reale la gestualità con la quale viene riprodotta su tela la reazione di Susanna: le braccia della donna, accompagnata dalla sua espressione di disdegno, rappresentano perfettamente il tentativo di allontanarsi dalle molestie dei due uomini. I colori sono molto chiari: il corpo di Susanna risalta in particolar modo, in netto contrasto con la balaustra, finemente decorata e realizzata con un marrone/grigio molto chiaro. Tra le altre tonalità spicca il rosso chiaro del mantello di uno dei vecchioni ed il marrone scurissimo dell’abito del probabile Agostino Tassi.

 

Susanna e i vecchioni di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Autoritratto come allegoria della Pittura di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro

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Autoritratto come allegoria della Pittura di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Scopriamo da vicino tutti i dettagli di uno degli autoritratti più celebri mai realizzati in tutta la carriera artistica di Artemisia Gentileschi, popolare artista del Seicento, la quale è riuscita ad imporsi in un mondo di artisti completamente dominato solo da figure maschili,soprattutto grazie alla propria abilità e tenacia nella realizzazione di opere d’arte. Abbiamo già visto qualche dettaglio del quadro Susanna e i vecchioni, il cui soggetto è tratto dall’Antico Testamento, ma i critici non escludono alcuni cenni autobiografici. Oggi andremo a conoscere tutti i dettagli del quadro “Autoritratto come allegoria della Pittura”.

In questo articolo potrete leggere tutto quello che bisogna sapere su “Autoritratto come allegoria della Pittura” Artemisia Gentileschi, come data di realizzazione, luogo nel quale è attualmente esposto, le dimensioni precise della tela e successivamente una descrizione approfondita della composizione.

Autoritratto come allegoria della Pittura Artemisia Gentileschi analisi

“Autoritratto come allegoria della Pittura” Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1638-1639

Dimensioni: 98,6 x 75,2 cm

Dove si trova: Kensington Palace, Londra

Abbiamo poche informazioni riguardo la trasmissione di Artemisia Gentileschi “Autoritratto come allegoria della Pittura”; sappiamo unicamente che in origine faceva parte della collezione delle opere di re Carlo I, ma poco dopo la morte del re, il quadro è andato perduto, per poi essere recuperato ed è tornato a far parte delle collezioni reali, fino a che oggi è arrivato ad essere esposto all’interno del Kensington Palace di Londra.

Il quadro è firmato con una sigla A.G.F., e ci sono non pochi dubbi legati all’identificazione del soggetto rappresentato su tela. La donna che è stata dipinta, indossa un vestito realizzato con il verde scuro ed un rosso molto scuro, ha una collana d’oro con con un piccolo medaglione a forma di maschera, i capelli sono neri ed ha le mani impegnate, una con un pennello e l’altra con la tavolozza ed i colori.

L’azione che sta compiendo il soggetto è quella di dipingere su una tela che non si vede all’interno della composizione: questa ha il braccio che trattiene il pennello molto sollevato, come se stesse dipingendo, e lo sguardo è molto attento nel seguire ciò su cui sta lavorando sulla tela.

La donna viene rappresentata quasi di profilo, e se effettivamente si tratta di un vero e proprio autoritratto, Artemisia Gentileschi, per potersi ritrarre in tale posizione, ha dovuto ricorrere necessariamente a degli artifici, come probabilmente più di uno specchio in sequenza, tutti orientati in un modo ben specifico per dare tale prospettiva.

Riguardo l’identificazione del soggetto, come già detto, ci sono diversi dubbi: Artemisia, al momento della realizzazione dell’opera doveva avere più di quarant’anni, e nel quadro il soggetto sembra molto più giovane; il colore dei capelli della donna in “Autoritratto come allegoria della Pittura” sono neri, mentre quelli di Artemisia dovevano essere di colore rosso.

Queste differenze potrebbero essere considerate irrilevanti qualora questo quadro non fosse un autoritratto, bensì una vera e propria allegoria, e ciò consentirebbe alla pittrice di adottare qualsiasi tipo di libertà artistica.

Molti critici, ritengono che Artemisia Gentileschi si fosse autoritratta nel quadro Autoritratto come Martire, piuttosto che in questo.

Autoritratto come allegoria della Pittura di Artemisia Gentileschi: analisi completa del quadro
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Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi: analisi completa dei quadri

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Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi: analisi completa dei quadri
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Scopriamo il capolavoro per eccellenza di Artemisia Gentileschi, eccelsa pittrice del Seicento, la quale purtroppo non ha avuto vita facile durante la sua attività di artista, poiché era una donna e in quegli anni quel campo era strettamente dominato dagli uomini. Nonostante ciò, Artemisia pittrice ha realizzato un gran numero di lavori di grande interesse, ancora studiati oggi, come ad esempio Autoritratto come allegoria della Pittura, che senza dubbio è una delle sue opere più conosciute. Oggi andremo a studiare “Giuditta che decapita Oloferne”.

Qui potrete leggere tutti i dettagli e le informazioni de “Giuditta che decapita Oloferne” Artemisia Gentileschi; troverete la data di realizzazione dell’opera, le dimensioni, il luogo di conservazione e successivamente anche la descrizione ricca di dettagli della scena rappresentata dall’artista del Seicento.

ARTEMISIA GENTILESCHI NAPOLI

“Giuditta che decapita Oloferne” è stata realizzata due volte da Artemisia Gentileschi in due occasioni diverse. Qui potrete leggere tutte le informazioni sulla versione conservata al Msueo Nazionale di Capodimonte a Napoli.

Giuditta che decapita Oloferne Artemisia Gentileschi Napoli analisi

“Giuditta che decapita Oloferne” (versione Napoli) Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1612-1613

Dimensioni: 158,8 x 125,5 cm

Dove si trova: Museo nazionale di Capodimonte, Napoli

Il quadro è stato realizzato in concomitanza ad un infausto evento legato alla vita di Artemisia Gentileschi; secondo le fonti, la donna subì una violenza sessuale operata da Agostino Tassi, il quale immediatamente venne accusato del crimine e venne processato. L’elemento dello stupro e la presenza del carnefice è un elemento costante nella produzione di Artemisia Gentileschi, come si può notare anche nel quadro Susanna e i vecchioni“.

Secondo alcuni critici, data la coincidenza delle date di produzione di questo “Giuditta che decapita Oloferne” e l’inizio del processo contro Agostino Tassi, questo lavoro potrebbe rappresentare come una sorta di vendetta contro l’uomo che ha stuprato Artemisia Gentileschi. I protagonisti sono tre, ovvero Giuditta, la sua ancella ed Oloferne.

La scena che viene rappresentata è il momento topico della storia, ovvero il momento in cui Giuditta decapita Oloferne con la spada, e l’ancella aiuta la sua padrona a compiere il delitto. Giuditta qui viene rappresentata sicura e priva di rimorsi, quasi come se stesse provando piacere nell’uccidere Oloferne; l’uomo cerca di divincolarsi dalla presa, aggrappandosi anche alla vestaglia dell’ancella in modo disperato, mentre alcuni fiotti di sangue macchiano il materasso sul quale è sdraiato.

I colori utilizzati sono posti su tela in modo deciso, e saltano subito all’occhio il blu intenso della veste di Giuditta, in netto contrasto con il colore della sua pelle pallida ed in più troviamo anche il rosso scuro della veste dell’ancella. Una fonte di luce esterna illumina i tre protagonisti, mettendo completamente da parte il resto dell’ambiente circostante, dando la possibilità all’utente di concentrare il proprio sguardo sul delitto in corso.

Il gioco di luci proposto da Artemisia Gentileschi “Giuditta che decapita Oloferne” dimostra la conoscenza dello stile dei quadri di Caravaggio.

ARTEMISIA GENTILESCHI FIRENZE

Qui trovate tutte le informazioni del quadro “Giuditta che decapita Oloferne” Artemisia Gentileschi, conservato a Firenze e che mostra sostanziali differenze rispetto a quella conservata a Napoli.

Giuditta che decapita Oloferne Artemisia Gentileschi Firenze analisi

“Giuditta che decapita Oloferne” (versione Firenze) Artemisia Gentileschi

Data di realizzazione: 1620

Dimensioni: 199 x 162,5 cm

Dove si trova: Galleria degli Uffizi, Firenze

La prima differenza che salta all’occhio rispetto alla versione del quadro conservata a Napoli è riscontrabile nelle dimensioni: questa è effettivamente più grande di svariati centimetri; questa versione è stata realizzata presumibilmente poco più di otto anni dopo rispetto all’originale.

La scena viene proposta da un punto più distante, permettendo di ammirare più elementi nella composizione: il materasso sul quale è sdraiato Oloferne è più spesso e dettagliato, si intravedono le gambe della vittima, poi mentre nel quadro napoletano le due donne che stanno operando l’omicidio sono vestite di blu (Giuditta) e rosso (l’ancella), qui Giuditta indossa un vestito leggermente elaborato color giallo, mentre l’ancella un modesto vestito bianco.

L’espressione di Giuditta è decisa mentre sta tagliando la gola dell’uomo con la spada, e così anche l’ancella che sta impedendo ad Oloferne di muoversi; Giuditta, rappresentata in questo modo, mentre con una mano regge la spada con l’altra si aggrappa con tutta la rabbia che ha alla barba dell’uomo, rappresentando perfettamente il desiderio di vendetta di Artemisia Gentileschi nei confronti del suo aggressore.

I colori qui sono più chiari, quasi tendenti al giallo; una fonte di luce esterna, (che potrebbe quasi sembrare una candela in questo caso) illumina i tre protagonisti, oscurando completamente qualsiasi elemento non pertinente alla scena. Oltre alle vesti delle donne citate in precedenza, merita attenzione anche il rosso scuro della coperta in cui è avvolto Oloferne.

Questa è l’opera più celebre nella produzione della Gentileschi, ed essendo un tema usualmente riprodotto da molti artisti, esiste anche una versione della “Giuditta e Oloferne” Caravaggio.

Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi: analisi completa dei quadri
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Artemisia Gentileschi: la biografia e le opere più importanti

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Artemisia Gentileschi: la biografia e le opere più importanti
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Scopriamo la vita di Artemisia Gentileschi, una pittrice vissuta nel Seicento, la quale è stata un’artista di grande rilievo poiché fu una donna che lottò per la propria indipendenza, cercando di affermarsi all’interno del mondo dell’arte, dominato e riempito unicamente da figure maschili al tempo. La Gentileschi, nella sua vita ha realizzato tante opere di grande importanza e rilievo nel mondo dell’arte moderna.

Innumerevoli studi sono stati effettuati su questa artista, considerata in assoluto una delle pittrici famose per eccellenza; dal 1970 in poi, la figura di Artemisia Gentileschi è diventata una figura molto centrale nell’ambito del femminismo internazionale, per il probabile stupro effettuato ai suoi danni da parte di Agostino Tassi.

Autoritratto come martire Artemisia Gentileschi analisi

“Autoritratto come martire” Artemisia Gentileschi

NASCITA

Artemisia Gentileschi nacque l’8 Luglio 1593 a Roma, figlia di Orazio Gentileschi e di Pruzenzia Montone. La ragazza, fin da piccola assunse il cognome Gentileschi per distinguersi dal suo fratellastro Aurelio, che successivamente divenne pittore.

La ragazza, fin da giovane si esercitò nell’arte e nella pittura, dimostrando immediatamente una grande tenacia ed abilità; affinò il proprio stile presso la bottega paterna, e superò in poco tempo anche gli altri apprendisti di Orazio. Il processo di apprendimento dell’arte continuò con la conoscenza di Tuzia e suo figlio, i vicini di casa di Orazio Gentileschi, i quali in poco tempo entrarono in confidenza con la giovane Artemisia, fino a che si trasferirono al piano superiore dell’abitazione dello stesso Orazio.

ARTEMISIA ROMA

Negli anni successivi Artemisia crebbe circondata dalle opere degli artisti che in quegli anni stavano lavorando a Roma ed in particolar modo dai capolavori di Caravaggio, il quale conosceva il padre di Artemisia poiché spesso prendeva degli attrezzi per il lavoro proprio dalla sua bottega.

La pittrice, essendo una donna, non poteva frequentare le usuali scuole d’arte e poté migliorare il proprio stile da autodidatta e studiando i lavori realizzati dallo stesso Caravaggio. A dimostrare il forte influsso della pittura caravaggesca nei lavori della Gentileschi Artemisia, ci fu la realizzazione a diciassette anni del quadro Susanna e i vecchioni, probabilmente completato grazie all’aiuto del padre.

LO STUPRO

A cambiare radicalmente la vita di Artemisia Gentileschi, ci fu il processo contro la figura di Agostino Tassi, un altro pittore, accusato dalla stessa Gentileschi pittrice di averla stuprata nel Maggio del 1611. Questo evento ebbe una grande centralità nella vita dell’Artemisia pittrice, ed infatti si pensa che molti dei quadri da lei realizzati, facciano riferimento a questo sconvolgente stupro; tra tutti proprio lo stesso “Susanna e i vecchioni” citato precedentemente alluderebbe proprio a questo evento, con la presenza dello stesso Agostino Tassi, identificato come uno dei vecchioni.

Il processo fu molto complesso, ed attraverso il gran numero di documenti che sono giunti a noi, è stato possibile scoprire i metodi barbari con i quali il tribunale ha estorto la verità ad Artemisia, ma anche gli imbrogli adoperati da Orazio (il quale mentì sull’effettiva età della pittrice affinché la condanna nei confronti di Agostino fosse aggravata).

Tra le opere di Artemisia Gentileschi realizzate in questo periodo e legate soprattutto a questo triste evento, vi è Artemisia Gentileschi Giuditta e Oloferne, (realizzato in due versioni, a distanza di anni) ed interpretato dalla critica come un quadro di “rivalsa” nei confronti dell’aggressore Agostino Tassi. Durante questo periodo, realizzò anche un’altra tela, intitolata Madonna col Bambino” e nel 1612 anche la tela Danae“.

Terminato il processo, per ristabilire la figura di Artemisia, Orazio combinò un matrimonio di sua figlia con Pierantonio Stiattesi, un pittore fiorentino, dal quale successivamente ebbe quattro figli.

ARTEMISIA GENTILESCHI FIRENZE

Nel 1614 Artemisia con la sua famiglia si trasferì a Firenze, dove la sua fama crebbe in modo notevole, rendendola molto famosa e conoscendo alcuni committenti di grande rilievo, come Galileo Galilei Michelangelo Buonarroti il Giovane. Per quest’ultimo, nipote del celebre Michelangelo, realizzò la tela intitolata Allegoria dell’Inclinazione, che contribuì a migliorare ancor di più la sua fama, che successivamente la portarono ad essere ancor più famosa.

Tra i vari autoritratti, possiamo ricordare anche Autoritratto come martire, realizzato proprio nel 1615 e conservato attualmente all’interno di una collezione privata.

Con una fama in costante crescita, la pittrice durante questi anni realizzò delle tele di grande importanza, tra cui possiamo ricordare la “Conversione della Maddalena” Giuditta e la sua ancella ed una seconda versione della già citata “Giuditta e Oloferne” Artemisia, ma anche Giaele e Sisara” Cleopatra“.

RITORNO A ROMA

Nel 1621 Artemisia ritorna a Roma, (anche se precedentemente è andata per poco tempo a Genova in compagnia del padre), dove cerca di imporsi come una pittrice grazie alla fama accumulata durante il suo soggiorno fiorentino, ma purtroppo, essendo specializzata nei ritratti e scene di ambito biblico, non aveva possibilità di poter lavorare ai grandi affreschi e pale d’altare.

Nel frattempo, cercò di far apprendere l’arte del disegno alle sue figlie, ma non vi riuscì. A causa dello scarso successo ottenuto nella capitale, Artemisia Gentileschi scelse di trasferirsi a Venezia.

ARTEMISIA GENTILESCHI A VENEZIA

Tra il 1627 e 1630, la pittrice famosa giunge a Venezia e, ancora grazie al successo ottenuto in Toscana, ottiene delle interessanti commissioni, arrivando a realizzare opere come Ritratto di gonfaloniere” “Giuditta con la sua ancella” (una seconda versione conservata a Detroit), ma anche Ester e Assuero, tutte opere che dimostrano l’eccellente ed affermato stile della donna.

ARTEMISIA GENTILESCHI NAPOLI

Proprio nel 1630 Artemisia giunge con la sua famiglia a Napoli, una città in costante crescita e centro di cultura e di arte. In quegli anni molti altri artisti erano già stati nella capitale partenopea, come lo stesso Caravaggio, Annibale Carracci e successivamente anche Giovanni Lanfranco ed altri importanti nomi.

Il successo per la Gentileschi non tarda ad arrivare e così ottiene delle importanti commissioni per la cattedrale di Pozzuoli, dove realizza “San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli”L’adorazione dei Magi” ed anche “Santi Proclo e Nicea”; oltre a queste importanti opere, la pittrice realizza anche Nascita di San Giovanni Battista, opera che oggi viene conservata al Museo del Prado.

Circa otto anni dopo, Artemisia si trasferisce temporaneamente a Londra, per raggiungere il padre Orazio, il quale stava lavorando presso la corte di Carlo I per decorare un soffitto. Carlo I richiese esplicitamente l’intervento di Artemisia Gentileschi e lei non poté tirarsi indietro.

ARTEMISIA GENTILESCHI LONDRA

In questi anni, padre e figlia si riunirono ma l’anno successivo, nel 1639, Orazio morì. Artemisia rimase qualche altro anno a Londra, dove realizzò, sempre per Carlo I, un importante quadro intitolato Autoritratto come allegoria della Pittura, oggi considerato uno dei lavori più importanti in assoluto della donna.

RITORNO A NAPOLI E MORTE

A causa di una guerra civile che stava imperversando in Inghilterra nel 1642, la pittrice decise di tornare a Napoli, dove rimase fino alla sua morte, avvenuta nel 1653. Negli ultimi anni, Artemisia Gentileschi realizzò altre opere molto importanti, come una versione alternativa di “Susanna e i vecchioni” e una “Madonna e Bambino con rosario”.

 

Artemisia Gentileschi: la biografia e le opere più importanti
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Schiavo barbuto di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Schiavo barbuto di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Scopriamo tutto quello che riguarda una delle sculture realizzate dal leggendario e conosciutissimo Michelangelo Buonarroti, importantissimo scultore, pittore ed artista del Cinquecento, la cui fama è giunta fino ai giorni nostri. Michelangelo ha realizzato tantissime opere di grande importanza ed oggi andremo a conoscere tutto quello che riguarda lo “Schiavo barbuto”.

Qui potrete leggere tutti i dettagli e le informazioni su “Schiavo barbuto” Michelangelo, tra cui data di realizzazione, dimensioni, luogo in cui è possibile ammirarlo pubblicamente attualmente ed ovviamente una descrizione precisa ed eloquente di questo lavoro del Buonarroti.

Schiavo barbuto Michelangelo analisi

“Schiavo barbuto” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1525-1530

Dimensioni: 263 cm

Dove si trova: Galleria dell’Accademia, Firenze

Questa scultura fa parte della lunga serie dei “Prigioni” realizzati da Michelangelo Buonarroti. Si hanno molte informazioni di questo “Schiavo barbuto”, il quale, insieme a tante altre sculture, come abbiamo già detto, faceva parte della serie di “Prigioni”, ovvero delle statue in posa come dei prigionieri e che dovevano decorare la tomba del Papa Giulio II.

Con il susseguirsi delle bozze per la tomba di Giulio II, Michelangelo ridusse gradualmente il numero di Prigioni che sarebbero dovuti essere presenti nella versione definitiva. I Prigioni che attualmente sono conservati a Firenze, ovvero questo “Schiavo barbuto, ma anche “Schiavo giovane”, “Atlante” e “Schiavo che si ridesta” sarebbero stati realizzati da Michelangelo scultore nella seconda metà degli anni venti del Seicento.

I critici hanno proposto diverse date riguardo la realizzazione di questo “Schiavo barbuto” Michelangelo e, analizzate diverse fonti, alla fine si è giunto a pensare che probabilmente sia stato scolpito tra il 1525 e 1530.

La statua rappresenta uno schiavo, che come indica il nome, è riconoscibile soprattutto per la folta barba che decora il suo volto; le gambe della statua sono leggermente aperte, ma non eccessivamente poiché sono legate tra loro grazie alla presenza di una fascia. Un braccio del protagonista regge la testa, mentre con l’altro invece sembra trattenere la fascia citata precedentemente.

Eccezionale è la resa dei dettagli anatomici dello schiavo, definito in ogni sua parte (nonostante non sia stato terminato). Lo schiavo, è stato rappresentato in un’eterna battaglia contro la pietra grezza, per cercare di avere una vita propria, che gli è stata donata dallo stesso Michelangelo. Secondo Vasari, questo “Schiavo barbuto” e gli altri, dovrebbero rappresentare le provincie sotto il controllo di Giulio II; secondo Ascanio Condivi, un artista e studioso del Cinquecento, i lavori di Michelangelo dovrebbero rappresentare le Arti “imprigionate” dopo la morte dello stesso Giulio II.

Schiavo barbuto di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Lia di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Lia di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Scopriamo tutto quello che riguarda un interessante lavoro scultoreo di Michelangelo Buonarroti, popolare e conosciutissimo artista e scultore del Cinquecento, le cui opere hanno lasciato un segno indelebile nel mondo della storia dell’arte moderna, portandolo a diventare una leggenda sia tra i suoi contemporanei, ma anche ai giorni nostri. Abbiamo già scoperto qualcosa dello stile di Michelangelo scultore attraverso lo studio dello Schiavo barbuto, ma oggi proseguiremo andando a conoscere da vicino “Lia”.

Qui potrete leggere tutto quello che riguarda “Lia” Michelangelo, come data di realizzazione dell’opera, dimensioni, luogo di conservazione attuale, la storia e la descrizione della scultura.

Lia Michelangelo Buonarroti analisi

“Lia” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1542

Dimensioni: 197 cm

Dove si trova: Basilica di San Pietro in Vincoli, Roma

Quest’opera fa parte della lunga e complessa serie di opere legate al monumento funebre a Papa Giulio II, un mastodontico lavoro che vide impegnato Michelangelo per moltissimi anni. Abbiamo qualche notizia di tale lavoro all’interno di una lettera a Paolo III nel 1542, dove Michelangelo accenna che “Lia” era quasi completata, così come le altre opere legate a questa serie. “Lia” e “Rachele” erano le ultime due statue che Michelangelo doveva completare, e nonostante le eseguì lui stesso, probabilmente sia la pulitura che rifinitura, venne lasciata definitivamente ad un aiutante.

Poiché lo stile dell’aiutante era differente da quello del maestro, l’opera venne criticata aspramente, a tal punto che molti studiosi pensarono che “Lia” Michelangelo non fosse del Buonarroti, ma poi grazie a dei documenti scoperti nel diciannovesimo secolo, venne definitivamente ammesso che il lavoro era dello scultore.

Il significato di “Lia” è possibile conoscerlo unicamente se messo in relazione con “Rachele” Michelangelo, poiché essendo entrambe due personaggi biblici, rappresentano anche due stili di vita paralleli (e non in contrasto). La donna biblica, viene rappresentata da Michelangelo con un vestito romano, con in mano uno specchio ed una lunga treccia di capelli che passa sulle spalle, fino a giungere sul petto.

Come accennato in precedenza, “Lia” e “Rachele” sono unite: la prima dovrebbe rappresentare la cosiddetta “Vita attiva”, ovvero colei che cerca la propria salvezza nell’operare ed aiutando gli altri; Rachele invece, rappresentata mentre prega, dovrebbe indicare la cosiddetta “Vita contemplativa”, ed incarna colei che trova la salvezza attraverso la Fede.

Lia di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Rachele di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della sculturaue

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Rachele di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della sculturaue
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Scopriamo tutti i dettagli di un interessantissimo lavoro scultoreo realizzato da Michelangelo Buonarroti, artista poliedrico che di certo non ha bisogno di alcuna presentazione. Le opere di Michelangelo hanno rivoluzionato completamente il mondo della storia dell’arte in generale, confermandosi come uno degli artisti più famosi di sempre. Abbiamo conosciuto ed apprezzato molto dello stile del Buonarroti attraverso lo studio della scultura Lia, ed oggi andremo a scoprire un altro lavoro legato proprio alla Lia già citata. Oggi conosceremo tutto quello che riguarda la statua “Rachele”.

Qui potrete leggere tutti i dettagli della “Rachele” Michelangelo, quali data di produzione, dimensioni, luogo di conservazione e successivamente anche la descrizione approfondita dei dettagli della scultura realizzata dal Buonarroti.

Rachele Michelangelo Buonarroti analisi

“Rachele” Michelangelo Buonarroti

Data di produzione: 1542

Dimensioni: 280 cm

Dove si trova: Basilica di San Pietro in Vincoli, Roma

La “Rachele”, proprio come “Lia” di Michelangelo, doveva far parte della complessa decorazione del monumento funebre per Papa Giulio II, ed in una lettera scritta nel 1542 a Paolo III, Michelangelo affermava che aveva quasi del tutto completato il proprio lavoro. Nonostante l’elevata qualità del lavoro di Michelangelo, a lungo si è ritenuto che questa scultura non fosse stata realizzata dal Buonarroti, ma con la scoperta nel diciannovesimo secolo di importanti documenti, è stato definitivamente affermato il legame dell’artista alla statua di “Rachele”.

“Rachele” Michelangelo Buonarroti è stata realizzata completamente incappucciata, con un lungo mantello che la circonda e che forma dei panneggi molto vistosi, quasi a donare un aspetto “bagnato” a tutto l’abito indossato dalla protagonista. Facendo bene attenzione, è possibile notare che lo sguardo di Rachele è rivolto al cielo, con le mani in preghiera.

Il significato di questa scultura si può leggere mettendola in relazione con la già citata “Lia”: quest’ultima, secondo i critici, rappresenta la “Vita attiva”, ovvero la ricerca della salvezza aiutando gli altri; “Rachele” rappresenta invece la “Vita contemplativa”, ossia la ricerca della salvezza ottenibile unicamente attraverso la Fede e la preghiera.

 

Rachele di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della sculturaue
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Schiavo giovane di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Schiavo giovane di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Tra i lavori più famosi di Michelangelo Buonarroti, la lunga serie di Prigioni “non finiti” è di grande interesse ed è assai conosciuta da tutti al giorno d’oggi. Abbiamo già conosciuto qualche lavoro che dimostra la grande abilità scultorea di Michelangelo Buonarroti, come Rachele, ed oggi andremo a scoprire tutto quello che riguarda la scultura intitolata “Schiavo giovane”.

Qui potrete leggere tutti i dettagli di ambito tecnico ed artistico dello “Schiavo giovane” Michelangelo, e successivamente anche la descrizione approfondita di questo lavoro, in modo tale da avere una panoramica completa del lavoro realizzato dal Buonarroti.

Schiavo giovane Michelangelo analisi

“Schiavo giovane” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1525-1530

Dimensioni: 256 cm

Dove si trova: Galleria dell’Accademia, Firenze

Questo “Schiavo giovane” in origine faceva parte della lunga serie di “Prigioni” che sarebbero dovuti andare a decorare la tomba di Giulio II; la serie è chiamata “Prigioni” perché i soggetti erano delle figure imprigionate e rappresentate in delle posizioni da prigionieri, collocati all’interno di nicchie ed alla base di determinati pilastri.

Nel progetto originale del Buonarroti, il numero di “Prigioni” era molto elevato, fino ad essere eliminati definitivamente in una delle bozze finali del progetto nel 1542. Lo “Schiavo giovane”, insieme ad altri “Prigioni” fa parte della collezione conservata a Firenze, all’interno della Galleria dell’Accademia, e probabilmente sono stati realizzati nei primi trenta anni del Cinquecento.

A proposito di questo “Schiavo giovane” è presente un bozzetto realizzato completamente in cera, conservato attualmente a Londra, presso il Victoria and Albert Museum, che secondo diverse fonti e studi da parte di critici, è ritenuto un originale di Michelangelo.

Adesso passiamo ad analizzare e descrivere questo “Schiavo giovane” Michelangelo: il Buonarroti sceglie di rappresentare questo prigioniero con le ginocchia piegate, mentre si sta sforzando in modo eccezionale, e con un braccio si copre la faccia, mentre l’altro è bloccato da un’invisibile catena che lo rende, appunto, prigioniero.

Aguzzando bene lo sguardo, è possibile notare che questo “Schiavo giovane” è senza dubbio uno dei lavori più avanzati e completi del Buonarroti, il quale ha riportato su questa scultura un gran numero di dettagli di eccezionale importanza: è possibile notare le gambe molto definite, il busto, ma in generale tutta la parte anteriore, mentre il retro della scultura è ancora in blocco e privo di qualsiasi dettaglio.

Il forte contrasto tra il finito e non finito del soggetto è servito a sviluppare un lettura dell’opera molto interessante: secondo molti critici la serie di Prigioni avrebbero rappresentato i tormenti di Michelangelo, o ancora le Arti incatenate dopo la morte di Giulio II.

 

Schiavo giovane di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Schiavo che si ridesta di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Schiavo che si ridesta di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Scopriamo tutto quello che riguarda un altro componente della serie dei “Prigioni” di Michelangelo Buonarroti; questo è un artista che non necessita di alcun tipo di presentazione, poiché è uno degli scultori e pittori più famosi di tutto il Cinquecento, e la serie dei “Prigioni” rappresenta uno dei lavori più complessi e conosciuti di tutta la sua carriera. Abbiamo già conosciuto un esempio appartenente a questa lunga serie di lavori scultorei, intitolato Schiavo giovane” e ne abbiamo apprezzato le caratteristiche stilistiche; oggi andremo a conoscere tutti i dettagli dello “Schiavo che si ridesta”.

Qui potrete leggere tutte le informazioni sia di ambito tecnico che stilistico dello “Schiavo che si ridesta” Michelangelo, quali data di produzione, dimensioni e luogo di conservazione, per poi passare successivamente alla descrizione approfondita della scultura realizzata dal Buonarroti.

Schiavo che si ridesta Michelangelo analisi

“Schiavo che si ridesta” Michelangelo

Data di produzione: 1525-1530

Dimensioni: 267 cm

Dove si trova: Galleria dell’Accademia, Firenze

Proprio come gli altri “Prigioni” Michelangelo, anche questo “Schiavo che si ridesta” fa parte del progetto decorativo originale della tomba di Giulio II: il luogo di sepoltura del pontefice sarebbe dovuto essere un luogo eccezionalmente decorato, ed all’inizio prevedeva la presenza di un gran numero di “Prigioni”, ovvero dei personaggi da “incastrare” vicino ai pilastri, rappresentati mentre erano in delle consuete pose da prigionieri.

Con lo scorrere dei progetti e del lavoro, il numero dei “Prigioni” Michelangelo Buonarroti è sostanzialmente diminuito, fino ad arrivare nel 1542, dove vennero definitivamente eliminati. Lo “Schiavo che si ridesta” è probabilmente il più conosciuto nella produzione di queste figure: Michelangelo rappresenta un uomo che si sta contorcendo, tentando di “staccarsi” dal marmo.

È possibile notare alcuni elementi che sono in uno stato più avanzato rispetto ad altri: la gamba destra è piegata, e nello stesso tempo è anche quella più definita e meglio riuscita; il movimento di questa gamba sembra quasi suggerire un tentativo di fuga dal marmo; allo stesso modo anche il braccio destro accompagna il movimento della gamba.

La composizione e la posizione di questo “Schiavo che si ridesta” incentiva la sensazione che il protagonista si stia essenzialmente “svegliando”, allontanandosi dal marmo primitivo, per diventare finito e decorato.

Simbolicamente, diversi critici hanno dato varie letture di questa serie di “Prigioni”, tra cui, le più valide sostengono che potrebbero alludere ad una battaglia contro il caos rappresentato dal marmo grezzo, per aspirare ad uno stato migliore e più definito. Secondo altre ipotesi, i “Prigioni” potrebbero rappresentare il conflitto interiore di Michelangelo, o ancora le Arti “prigioniere” dopo la morte di Giulio II.

 

Schiavo che si ridesta di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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San Proclo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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San Proclo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Scopriamo tutto quello che c’è da sapere riguardo una statua realizzata da Michelangelo Buonarroti, artista, pittore e scultore di grandissima importanza, vissuto nel Cinquecento e che oggi è considerato uno dei più grandi artisti della storia dell’arte mondiale. Abbiamo conosciuto già diversi lavori di Michelangelo, come quelli appartenenti alla serie dei Prigioni, tra cui è presente lo “Schiavo che si ridesta“. Oggi andremo a conoscere tutto quello che riguarda la scultura intitolata “San Proclo”.

Qui potrete leggere tutte le informazioni artistiche e tecniche del San Proclo Michelangelo, come data di realizzazione, dimensioni, luogo di conservazione attuale dell’opera e successivamente la descrizione della stessa statua del Buonarroti.

San Proclo Michelangelo Buonarroti analisi

“San Proclo” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1494-1495

Dimensioni: 58,5 cm

Dove si trova: Basilica di San Domenico, Bologna

Questo San Proclo di Michelangelo è stato realizzato quando lo scultore aveva poco più di vent’anni, e si era trasferito a Bologna per evadere dalla pericolosa atmosfera che si stava instaurando a Firenze, dove Piero de’ Medici era stato cacciato per fare posto ad una repubblica basata sulle credenze del Savonarola.

Per evitare di essere catturato, o peggio, Michelangelo si rifugiò prima a Venezia, e poi grazie all’aiuto del nobile Aldovrandini, riuscì a nascondersi presso l’ordine dei frati di San Domenico a Bologna, dove ottenne vari lavori, tra cui la realizzazione di questo San Proclo.

Il soggetto della scultura di Michelangelo è Proclo, un ufficiale romano di Bologna, il quale morì come martire durante le antiche persecuzioni cristiane effettuate per ordine di Diocleziano. Il Buonarroti sceglie di rappresentare il martire con una tunica corta, un mantello che cade da una spalla ed osservando bene la mano lontana dallo stesso mantello, è stata realizzata come se dovesse trattenere qualcosa: in effetti, in origine, in una mano il San Proclo aveva una lancia, ma poi a causa di una rottura avvenuta nel 1572, molti elementi di questa statua andarono perduti.

Il grande danno subito dalla statua venne in poco tempo riparato e la statua venne riportata (per quanto possibile) alla condizione originale. Tra i vari elementi, è possibile notare l’espressione fiera e decisa del soggetto, con una forte tensione che “riempie” il San Proclo, come se stesse preservando l’energia prima di effettuare un movimento.

 

San Proclo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Crepuscolo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Crepuscolo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Scopriamo tutto quello che riguarda un importante lavoro realizzato da Michelangelo Buonarroti, leggendario artista e scultore vissuto nel Cinquecento, la cui fama è giunta fino ai giorni nostri, rendendolo uno dei personaggi più conosciuti nel mondo dell’arte. Abbiamo già scoperto qualche caratteristica dello stile del giovane Michelangelo attraverso lo studio della scultura intitolata San Proclo, ed ora proseguiremo nel nostro percorso andando a conoscere la statua chiamata Crepuscolo.

Qui potrete leggere tutti i dettagli che riguardano Crepuscolo di Michelangelo Buonarroti, quali data di creazione della scultura, dimensioni dell’opera, ubicazione del lavoro e successivamente la descrizione dello stesso lavoro del Buonarroti.

Crepuscolo Michelangelo Buonarroti analisi

“Crepuscolo” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1524-1531

Dimensioni: 155 x 170 cm

Dove si trova: Sagrestia Nuova, Firenze

Questa scultura di Michelangelo fa parte delle quattro allegorie delle Parti della giornata, presenti sul sarcofago della tomba di Lorenzo de’ Medici Duca di Urbino. Michelangelo Buonarroti ha cominciato a realizzare questa scultura nel 1524, anno in cui Clemente VII divenne papa; non abbiamo ulteriori notizie riguardo lo svolgimento dei lavori, se non che complessivamente la statua non è stata mai del tutto completata perché nel 1531 ci fu un assedio che bloccò i lavori e nel 1534 Michelangelo se ne andò da Firenze.

Il Crepuscolo rappresenta la parte finale della giornata, simboleggiata da un uomo nudo, sdraiato e con una gamba accavallata sull’altra, quasi come se stesse per addormentarsi (al contrario dell’Aurora, che è rappresentata nell’atto di svegliarsi); il Crepuscolo ha un braccio appoggiato sulla gamba, con il quale regge parte del velo che lo copre, mentre con l’altro braccio sorregge il peso del corpo.

La figura è abbastanza ricca di dettagli: il volto è circondato da una folta barba, e lo sguardo è rivolto verso il basso, quasi come se fosse pensieroso. Secondo alcuni critici, questo Crepuscolo, oltre ad essere un’allegoria della parte della giornata, potrebbe rappresentare un carattere lento e tranquillo, e allo stesso tempo potrebbe simboleggiare l’acqua o la terra.

 

Crepuscolo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Cristo della Minerva di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Cristo della Minerva di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Andiamo a conoscere un importante lavoro scultoreo di Michelangelo Buonarroti, artista eclettico del Cinquecento, il quale è conosciutissimo ai giorni nostri, e che già mentre era in vita si era affermato come uno degli scultori ed artisti più prolifici ed efficienti dei suoi tempi. Abbiamo apprezzato e conosciuto diversi elementi dello stile di Michelangelo attraverso lo studio del Crepuscolo, ed oggi andremo ad approfondire questo artista andando a conoscere il Cristo della Minerva.

Qui potrete trovare tutti i dettagli sul Cristo della Minerva Michelangelo, partendo prima dalla data di realizzazione, dimensioni della scultura e luogo di conservazione, e successivamente oltre a riassumere brevemente la storia, andremo a descrivere l’opera stessa.

Cristo della Minerva Michelangelo Buonarroti analisi seconda versione

“Cristo della Minerva” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1519-1520

Dimensioni: 205 cm

Dove si trova: Basilica di Santa Maria sopra Minerva, Roma

La scultura è stata realizzata da Michelangelo mentre era completamente assorbito dalla realizzazione della Tomba di Giulio II, grazie ad una commissione ricevuta da Bernardo Cencio, Mario Scappucci, Pietro Paolo Castellano e Metello Vari, per andare a realizzare questo Cristo che successivamente sarebbe stato destinato alla basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

Michelangelo lavorò in modo efficiente e rapido per realizzare quanto prima questo Cristo della Minerva, ma proprio negli ultimi momenti prima del completamento, sul volto di Gesù apparve una vena nera che lo costrinse a mettere da parte definitivamente questo lavoro. Cominciò così a dedicarsi ad una seconda versione nel 1518, quando il contratto per la realizzazione di questo lavoro era ormai terminato, e nonostante il supporto di vari aiutanti, la seconda versione (inviata a Roma nel 1520) venne realizzata in modo banale e pieno di errori.

Michelangelo voleva realizzare una terza versione di questo Cristo della Minerva, ma il committente aveva terminato la pazienza, così chiese di ricevere solo la statua completata. Di questo Cristo della Minerva ve ne sono quindi due versioni: la prima versione (con la vena nera) si pensa possa essere quella ritrovata a Bassano Romano in tempi recenti, mentre la seconda è quella conservata a Roma.

Cristo della Mierva Michelangelo Buonarroti prima versione analisi

“Cristo della Mierva ” (Prima versione) Michelangelo Buonarroti

Nella descrizione dell’opera, faremo riferimento a quella conservata a Roma. Il Cristo, qui viene scolpito mentre si trova in piedi appoggiato ad una croce, la quale è molto più piccola rispetto a quella su cui è stato inchiodato; nelle mani trattiene oggetti come una spugna ed un piccolo bastone, mentre rivolge lo sguardo nella direzione opposta.

La prima versione di questo Cristo della Minerva Michelangelo Buonarroti venne concepito come un “nudo integrale”, mentre dopo il Concilio di Trento, nella seconda versione, le nudità di Cristo vennero coperti con un piccolo drappo color oro. La posizione di questa statua dimostra l’eccezionale talento e bravura di Michelangelo nella realizzazione di soluzioni sempre più innovative nella realizzazione delle proprie sculture.

 

Cristo della Minerva di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Tondo Taddei di Michelangelo Buonarroti: analisi completa del bassorilievo

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Tondo Taddei di Michelangelo Buonarroti: analisi completa del bassorilievo
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Scopriamo tutto quello che riguarda un bassorilievo realizzato da Michelangelo Buonarroti, popolare e conosciuto artista del Cinquecento, il quale ha realizzato nella sua lunga carriera un numero altissimo di lavori che sono passati alla storia come dei veri e propri capolavori. Abbiamo già scoperto il Cristo della Minerva, con alle spalle una storia legata alla realizzazione di due modelli diversi per il Tondo Taddei.

Qui potrete leggere tutto quello che riguarda il Tondo Taddei Michelangelo Buonarroti, partendo da alcuni dati generici, quali data di realizzazione, dimensioni e luogo di conservazione del bassorilievo, per poi passare alla descrizione del lavoro del Buonarroti.

Tondo Taddei Michelangelo Buonarroti analisi

“Tondo Taddei” Michelangelo Buonarroti

Data di produzione: 1504-1506

Dimensioni: 109 x 109 cm

Dove si trova: Royal Academy of Arts, Londra

Il Tondo Taddei nasce grazie alla commissione di un privato, ovvero Taddeo Taddei, il quale ordinò a Michelangelo la realizzazione di questo bassorilievo per essere posto all’interno del proprio palazzo. Secoli dopo, questo Tondo Taddei si trovava all’interno di una collezione romana, e Sir George Beaumont l’acquistò e la portò a Londra, arrivando nel giro di pochi anni all’interno della Royal Academy of Arts.

Nella composizione i protagonisti sono la Vergine, Gesù Bambino e San Giovannino: sulla sinistra si trova il piccolo Giovanni che sta mostrando un cardellino a Gesù, il quale impaurito, scappa subito tra le braccia di Maria sulla destra per proteggersi, mentre quest’ultima guarda i due piccoli bambini giocare tra loro serenamente.

Secondo molti studiosi, questo Tondo Taddei sarebbe un’opera che risente dell’influsso dei lavori di Leonardo da Vinci, soprattutto per quanto riguarda la somiglianza tra il “non-finito” del bassorilievo e lo sfumato tipico dei lavori di Leonardo da Vinci. Altro collegamento tra i due artisti potrebbe esservi grazie allo schema di causa-effetto presente nei lavori di Leonardo, riportati in questo bassorilievo grazie alla divisione in vari piani tra i diversi protagonisti, accentuando la profondità di tutta la scena.

Tondo Taddei di Michelangelo Buonarroti: analisi completa del bassorilievo
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Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Andiamo a conoscere una delle opere più celebri e tra l’altro una delle pietà di Michelangelo più conosciute di sempre all’interno di questo articolo. Abbiamo già parlato di diverse opere di Michelangelo in precedenza, ed in particolare abbiamo studiato a fondo il Tondo Taddei, uno tra i lavori più celebri caratterizzato da il non finito di Michelangelo. Oggi andremo a conoscere tutto quello che riguarda la Pieta Rondanini.

Qui potrete leggere tutto quello che riguarda la Pietà di Michelangelo, partendo prima dalle informazioni generiche, come data di realizzazione dell’opera, dimensioni della scultura, luogo di conservazione, storia e descrizione della celebre Pietà Rondanini Milano. Di questo capolavoro ne esistono due varianti (anche se si tratta sempre della stessa statua): Michelangelo realizzò una prima versione nel 1552 e ritornò a lavorarci sopra anni dopo.

PRIMA VERSIONE DELLA PIETÀ RONDANINI

Qui trovate tutte le informazioni sulla scultura Rondanini meno conosciuta rispetto al modello più celebre.

Data di realizzazione: 1552-1553

Riguardo questo lavoro che fa parte della lunga collezione delle Michelangelo Sculture, non abbiamo molte informazioni. Sappiamo che il celebre artista cominciò a lavorarvi dal 1552 e cominciò a realizzare un gruppo scultoreo che prevedeva la presenza della Vergine Maria e di Gesù, sorretto dalla madre, la quale cerca di sorreggerlo prendendolo sotto le ascelle.

Riguardo questa versione che ha per tema la pieta, si hanno diverse tracce del piano originale grazie a degli schizzi conservati ad Oxford attualmente e che indicano un piano di realizzazione di questa scultura molto diverso rispetto alla Pietà Rondanini più conosciuta.

SECONDA VERSIONE DELLA PIETÀ RONDANINI

Qui potrete leggere tutto quello che riguarda la popolare Pietà Michelangelo Milano, partendo da dati generali fino alle informazioni più specifiche, e per concludere tracceremo la descrizione approfondita della scultura del Buonarroti.

Pietà Rondanini Michelangelo Buonarroti analisi

“Pietà Rondanini” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1552-1564

Dimensioni: 195 cm

Dove si trova: Castello Sforzesco, Milano

Questa nuova scultura di Michelangelo, assai più celebre rispetto alla prima di cui si hanno pochissime informazioni, venne iniziata dal Buonarroti nel 1554, che cominciò ad elaborare uno schema compositivo completamente differente rispetto a quello narrato in precedenza.

Dallo stesso blocco su cui aveva lavorato tempo addietro realizzò delle figure completamente differenti: dal corpo della Vergine ottenne una nuova figura di Gesù, e allo stesso modo, dalla vecchia figura di Gesù, ottenne una nuova struttura per il corpo di Maria.

Tra le opere di Michelangelo questa fu in assoluto una delle ultime su cui lavorò il celebre artista prima di morire e prima di arrivare a Milano, si ebbero tracce di questo lavoro nel 1652 a Roma, per poi giungere nel 1744, grazie all’acquisto da parte dei marchesi Rondanini (da cui il nome del gruppo scultoreo) in un altro edificio romano; nel 1952, il lavoro venne acquistato per entrare a far parte delle Raccolte Civiche del Castello Sforzesco, dove si trova tutt’ora.

Questa pietà di Michelangelo è un ottimo esempio della straordinaria abilità dell’artista in età avanzata (il Buonarroti doveva avere ottanta anni mentre realizzava questa scultura); nel gruppo si mescolano parti non finite ad altre già elaborate e che testimoniano la presenza di una “prima versione” di questo lavoro: tra le parti completate, possiamo notare il braccio destro di Gesù, le sue gambe e l’orientamento del volto di Cristo.

Le parti sottoposte ad una forte rielaborazione da parte dello scultore sono il corpo e la testa di Maria ed anche lo stesso volto di Gesù. Lo schema è incentrato sul tema della pietà e del rapporto madre/figlio, reso perfettamente grazie al busto di Gesù che è appoggiato su quello di Maria, quasi a formare un unico corpo.

La statua, osservabile da qualsiasi angolazione, permette di apprezzare molti dettagli: in particolare, guardando questo lavoro di lato, c’è una sorta di slancio verso l’alto di tutta la composizione, che simboleggia l’attuale morte e prossima resurrezione di Cristo.

 

Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
ArteWorld.

San Matteo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura

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San Matteo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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Andiamo a conoscere un importante lavoro scultoreo realizzato da Michelangelo Buonarroti, famosissimo artista vissuto nel Seicento, le cui opere hanno lasciato un’impronta fondamentale nel mondo dell’arte moderna, andando ad influenzare molti suoi contemporanei ed anche molti altri artisti che vennero dopo di lui. Tra le opere più famose di Michelangelo, abbiamo conosciuto già la celebre Pietà Rondanini, un lavoro realizzato in due tempi dal Buonarroti. Oggi andremo invece a scoprire tutto quello che riguarda il San Matteo.

In questo articolo potrete leggere la storia, la data di realizzazione, le dimensioni, il luogo di conservazione attuale e la descrizione del San Matteo di Michelangelo.

San Matteo Michelangelo Buonarroti analisi

“San Matteo” Michelangelo Buonarroti

Data di realizzazione: 1505-1506

Dimensioni: 216 cm

Dove si trova: Galleria dell’Accademia, Firenze

Il San Matteo venne commissionato al Buonarroti dall’Opera del Duomo di Firenze, proprio mentre il celebre scultore stava per terminare il David. L’incarico prevedeva la realizzazione dei dodici apostoli da inserire all’interno delle nicchie nei pilastri proprio sotto la cupola del Duomo di Firenze.

Iniziati i lavori per questa statua, Michelangelo continuò a ricevere ulteriori incarichi da altri committenti, arrivando così a realizzare solo una parte del San Matteo, che poi nel 1505 lasciò non completato, poiché dovette partire per Roma. L’Opera del Duomo fiorentina allora decise di scogliere il contratto con Michelangelo per assoldare altri artisti che completarono tale incarico ad altri artisti, come Baccio Bandinelli e Andrea e Jacopo Sansovino.

Nonostante il contratto fosse stato sciolto, Michelangelo quando tornò a Firenze nel 1506 (poiché c’erano state delle complicazioni per il progetto della Tomba di Giulio II), riprese a lavorare sul blocco iniziale del San Matteo, arrivando così a migliorare il blocco iniziale.

Il San Matteo Michelangelo è rimasto fino alla fine dell’Ottocento negli spazi di proprietà dell’Opera del Duomo, fino a che, proprio ad inizio del Novecento, con la realizzazione della Galleria dell’Accademia fiorentina, la statua venne trasferita lì, ed oggi è visibile al grande pubblico.

Analizzando questa scultura, è possibile notare una forte somiglianza con i Prigioni realizzati sempre da Michelangelo, poiché entrambi sono caratterizzati dal celebre non finito del Buonarroti, che simboleggiano una sorta di forte lotta da parte dei protagonisti per liberarsi dal blocco di marmo originario. In questo caso, il tentativo di liberarsi del San Matteo è accentuato dalla testa ruotata e dal divincolarsi del corpo.

Schematicamente, è possibile notare che la gamba sinistra della statua è piegata, come se fosse appoggiata su un gradino più alto, mentre la destra è distesa, formando una sorta di contrapposizione (e si nota lo stesso schema anche nella riproduzione delle braccia); allo stesso modo, tutto il corpo, nel tentativo di liberarsi, sembra muoversi in direzioni diverse, accentuando ancor di più la forte energia del protagonista.

San Matteo di Michelangelo Buonarroti: analisi completa della scultura
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