“Venere di Cnido” di Prassitele (Versione Afrodite di Cnido Colonna)
Data di Realizzazione
360 a.C. circa
Altezza
2 metri circa
Materiale
Marmo
Dove si Trova
Distrutta
Informazioni Venere di Cnido Prassitele
Caratteristiche Chiave
Afrodite Cnidia è una statua greca che ritrae la dea della bellezza ed è stata realizzata da Prassitele
È una delle primissime sculture di nudo femminile della storia dell’arte greca
La dea si mostra in un momento di intimità mentre cerca di coprirsi con dei vestiti lasciando scoperto il seno
La scultura originale è andata distrutta nel 475 ed oggi esitono tantissime copie conservate in tutto il mondo
Storia
La Venere di Cnido è stata realizzata da Prassitele per il Tempio di Afrodite a Cnido.
E la statua ha questo nome perché l’opera è diventata famosa qui, in questa città dell’Asia Minore.
Gli abitanti di Cnido l’hanno acquistata per decorare il naos del tempio.
La statua è stata un incredibile successo fin da subito, al punto che sono nate delle vere e proprie leggende.
Curiosità
Plinio il Vecchio scrive che Prassitele avrebbe scolpito una scultura di Afrodite nuda ed un’altra di Afrodite vestita (un po’ come la Maja Vestida e Desnuda di Goya). Quella vestita sarebbe stata comprata dalla città di Kos ed hanno rifiutato l’altra perché pensavano che fosse oscena ed avrebbe causato scalpore in città.
Si racconta addirittura di persone che si sono innamorate della statua di Prassitele.
Gli abitanti di Cnido sono così orgogliosi della statua che l’hanno fatta incidere sulle loro monete.
Ricostruzione disegno moneta di Cnido
Dopo il successo di Cnido si perdono le notizie della statua.
La ritroviamo soltanto nel 5° secolo nella collezione di Lauso, il quale l’ha portata nel suo palazzo a Costantinopoli.
Purtroppo nel 475 c’è un terribile incendio che distrugge per sempre l’Afrodite Cnidia di Prassitele.
Descrizione
Nota
Dato che la statua originale è andata distrutta, le immagini che vedrai si riferiscono all’Afrodite Cnidia Colonna, che potrebbe essere una delle copie più somiglianti all’originale.
“Venere di Cnido” (Versione Afrodite di Cnido Colonna)
L’Afrodite di Cnido è una statua che rappresenta la dea greca della bellezza, Afrodite, mentre si prepara per un bagno.
Ma si accorge di essere osservata.
Così con una mano cerca di raggiungere qualche vestito alla sua destra, e con l’altra cerca di coprirsi il pube.
La posizione delle mani porta la nostra attenzione alla parte superiore del corpo senza vestiti.
Ed è stata proprio la sensualità a rendere famosissima questa statua.
Stando alle fonti, il corpo era un po’ ruotato da un lato e la testa era girata verso sinistra, dando all’opera un andamento sinuoso.
Particolare della composizione dell’opera
Alcuni autori antichi hanno scritto che la statua originale sorrideva, ma le copie che conosciamo oggi non mostrano questo particolare.
La novità della Venere Cnidia è che si tratta di uno dei primissimi nudi femminili nella storia della scultura greca.
Si pensa che Prassitele abbia usato la cortigiana Frine come modella per la statua.
Ed il risultato è un capolavoro equilibrato ed elegante.
Lo scultore ci mostra la dea in un momento intimo e personale, lasciando trapelare un po’ di incertezza da parte della protagonista.
L’opera doveva essere chiara e luminosa, senza chiaroscuri o contrasti.
A fare da sostegno alla statua ci pensa la base e la veste poggiata alla sua destra.
Particolare del sostegno
Copie
Qui trovi le copie più importanti della scultura della Venere di Cnido.
Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
Informazioni Pala Pesaro Tiziano
Caratteristiche Chiave
La tela è un ringraziamento a Dio e la Vergine per la vittoria veneziana nella guerra di Santa Maura del 1502
Il committente, Jacopo Pesaro è ritratto nella scena insieme ai suoi fratelli
Le colonne in secondo piano donano un’aspetto monumentale alla scena
Tiziano rivoluziona la scena mettendo la Vergine ed il Bambino non al centro, ma sul lato destro della composizione
I personaggi della scena sono dinamici ed in movimento, tranne per la famiglia Pesaro che è statica in primo piano
Storia
È il 24 aprile 1519 quando Jacopo Pesaro, il vescovo di Pafo, a Cipro, richiede a Tiziano di realizzare questa tela.
I due si sono già conosciuti in passato.
Era il 1506.
Quella volta Jacopo gli aveva commissionato Jacopo Pesaro presentato a San Pietro da papa Alessandro VI.
Ma ora la tela deve essere messa sull’altare della Concezione, nella basilica dei Frari a Venezia.
Tiziano ha anche già lavorato in questa chiesa, quando ha dipinto l’Assunta.
Jacopo desidera una tela che serva a ringraziare per la vittoria di Santa Maura del 1502, quando i veneziani hanno sconfitto i turchi.
Tutto fila liscio e l’opera viene inaugurata l’8 dicembre 1526 nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, dove si trova ancora oggi.
Descrizione
La Pala Pesaro è piena di personaggi.
Vediamoli tutti.
In 1° piano sulla sinistra c’è Jacopo Pesaro inginocchiato a pregare.
Particolare di Jacopo Pesaro
Al centro, seduto c’è San Pietro apostolo (lo sappiamo perché ha le caratteristiche chiavi vicino ad un piede).
Particolare di San Pietro Apostolo
Più in alto, sulla destra ci sono la Vergine – che guarda la scena – ed il Bambino.
Particolare della Vergine e del Bambino
Curiosità
La modella usata da Tiziano per il ruolo della Verigne è sua moglie.
Sulla sinistra della scena c’è un enorme stendardo rosso con su lo stemma Papale e poco più sotto lo stemma della famiglia di Jacopo. Sulla punta in alto si vede anche un ramo di alloro, il simbolo della vittoria.
Particolare della bandiera
L’uomo che regge lo stendardo è un cavaliere che trascina due prigionieri: un turco ed un moro.
Particolare dei prigionieri
La loro nazionalità non è scelta a caso: è un riferimento alla vittoria di Jacopo sui turchi a Santa Maura nel 1502.
Ma sulla destra dell’opera ci sono altri protagonisti di cui non ti ho ancora parlato.
Appena più sotto alla Vergine ed il Bambino ci sono San Francesco d’Assisi (con le stimmati sulle mani) e San Antonio da Padova.
Particolare di San Francesco e San Antonio
Curiosità
Secondo lo studioso Guerino Lovato, l’uomo in secondo piano dietro San Francesco non è San Antonio da Padova, ma frate Leone, il quale, assistendo al miracolo delle stimmate gira lo sguardo altrove. Questo è un gesto simbolico con cui invita i fedeli ad osservare il miracolo e non concentrarsi troppo sui testi.
Francesco ed Antonio, tra l’altro sono i nomi di alcuni dei fratelli di Jacopo, il committente della tela (tra poco ti parlerò del resto della famiglia).
Guarda le mani di San Francesco: sta indicando il gruppo di persone sotto di lui.
Particolare della famiglia Pesaro
Sono la famiglia Pesaro.
Anche il gesto del Santo non è casuale: indica che attraverso di lui è possibile ottenere la salvezza.
Ma concentriamoci un momento sulla famiglia ritratta nella Pala Pesaro Tiziano.
Sono immobili, l’esatto contrario di tutti gli altri protagonisti della scena che si muovono e si agitano.
Sono tutti i fratelli di Jacopo:
Francesco
Leonardo
Antonio
Fantino
Giovanni (o Vittore)
L’unico che guarda verso di noi è il piccolo Leonardo.
Particolare di Leonardo Pesaro
Nella parte più alta ci sono 2 angeli cherubini su una nuvola scura che giocano con la croce.
Particolare degli Angeli Cherubini
Gesù Bambino, invece, sta giocando con il velo della Vergine e guarda San Francesco; forse sta osservando con attenzione le sue stimmate e potrebbe essere un simbolo della futura Passione di Cristo.
Particolare del Bambino che guarda le stimmate di San Francesco
Composizione
Lo spazio della pala sembra una finestra illusoria, con il trono della Vergine posto su un ipotetico altare che sta orientato nello stesso modo dell’altare della chiesa dei Frari.
La composizione è obliqua ed è bilanciata dalla staticità dei membri della famiglia Pesaro.
Particolare della composizione
E poi Tiziano decide di rompere con la tradizione.
Non mette la Vergine ed il Bambino al centro della scena, donando così maggiore movimento all’opera.
E quelle 2 grandi colonne sullo sfondo sottolineano la grande verticalità ed altezza dell’opera, portando anche il nostro sguardo verso il cielo.
Particolare delle colonne
Neanche la loro posizione è scelta a caso, ma stanno proprio lì per mettere in risalto 2 dei protagonisti più importanti: San Pietro e la Vergine.
Curiosità
La tela è stata sottoposta ai raggi X ed è stato scoperto che Tiziano, prima di dipingere le colonne, ha provato tante altre soluzioni architettoniche. Ciò ha portato alcuni critici a pensare che forse non le abbia realizzate lui ma qualcun altro.
Il pittore usa toni caldi ed accesi, lavorando benissimo sui particolari dei tessuti ed utilizzando un bellissimo chiaroscuro.
• Altezza: 5,85 m • Lunghezza: 3,87 m • Larghezza: 2,30 m
Materiale
Bronzo dorato
Dove si Trova
• Musei Capitolini, Roma (Originale) • Piazza del Campidoglio (Copia)
Informazioni Statua Equestre di Marco Aurelio
Caratteristiche Chiave
È una delle ultime statue in bronzo dell’antichita che non è stata fusa dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente
In origine si pensava che fosse una statua dell’imperatore Costantino
L’imperatore è vestito con abiti militari ma non ha armi, quindi la statua rappresenta pace e prosperità dell’Impero Romano
Per evitare che venisse danneggiata da pioggia e vento, l’originale è stata trasportata nei Musei Capitolini, mentre al Campidoglio c’è una copia
La statua equestre di Marco Aurelio è un’opera in bronzo dorato realizzata nel 2° secolo d.C.
Non sappiamo dove fosse collocata in origine, ma è certo che dall’8° secolo in poi è stata messa davanti al Palazzo Laterano.
Poi nel 1538 è stata trasferita a Piazza del Campidoglio a Roma per 4 secoli.
Storia
Questa statua è stata realizzata nel 176-180 d.C., subito dopo la morte di Marco Aurelio.
Una volta completata, però, non sappiamo dove è stata messa.
Poi c’è un grande vuoto fino al Medioevo.
In questo periodo il bronzo è un materiale molto richiesto e tantissime statue vengono fuse per ottenere il prezioso metallo.
Ma non questa.
Perché?
Perchè a quel tempo tutti pensavano che questa statua rappresentasse l’imperatore Costantino, il 1° imperatore cristiano della storia.
Pensa che l’avevano anche chiamata Caballus Constatini.
Ma è stato un colpo di fortuna.
Per questo scambio di identità, la statua viene trasferita – a partire dall’8° secolo – vicino al Palazzo Laterano che al tempo era la residenza ufficiale del Papa.
Poi arriviamo al 1447.
Siamo nel pieno dell’Umanesimo.
L’opera viene studiata a fondo e si scopre che non si tratta di Costantino, ma è una statua di Marco Aurelio.
Ma la statua non viene toccata: uno dei punti fondamentali dell’Umanesimo è proprio la protezione e l’ammirazione delle opere antiche.
Ora che è chiaro che non si tratta di una statua religiosa, l’opera viene trasferita in Piazza del Campidoglio nel 1538 per ordine di Papa Paolo III.
Il pontefice sceglie questo luogo perché l’autorità della città di Roma sta lì dal 1143.
E, a questo proposito, se dai un’occhiata al basamento della statua, potrai leggere diversi nomi:
Agvstinvs Trincivs
Iacobvs Bvcca Bella
Caesar de Magistris
Sono gli assessori della città all’epoca.
L’anno dopo, a Michelangelo Buonarroti viene dato l’incarico di progettare un luogo adatto per la statua di Marco Aurelio.
Ma l’artista fa di più e rivoluziona tutta l’area del Campidoglio, portando la statua proprio in piazza.
Tre secoli dopo, l’opera viene sottoposta ad un restauro da parte di Carlo Fea, il quale fa delle incisioni per rimuovere l’acqua che si è depositata all’interno del cavallo nel corso degli anni.
Nel 1912 viene lavata fuori e dentro ed i fori che ci sono vengono otturati con il piombo.
Durante la 2° guerra mondiale, la statua viene tolta dalla piazza per proteggerla dai bombardamenti.
Una volta terminato il conflitto, viene rimessa di nuovo sul Campidoglio.
Nel 1979 un attentato vicino al Palazzo Senatorio danneggia il basamento in marmo della statua, ma viene subito restaurata.
Nel 1990 i lavori di riparazione vengono completati e viene presa una decisione.
Per evitare che la pioggia, la neve ed il vento possano danneggiare la statua di Marco Aurelio a cavallo, questa viene messa nei Musei Capitolini, in uno spazio dedicato solo e soltanto a lei: l’Esedra di Marco Aurelio.
Ma così non rimane un posto vuoto al Campidoglio?
No.
Nel 1996 viene messa in piazza una copia in resina bianca della statua.
Statua Equestre di Marco Aurelio (Copia sul Campidoglio)
L’opera è identica, soltanto che non c’è l’effetto dorato dell’originale.
Curiosità
La statua equestre di Marco Aurelio è stata utilizzata come modello per tantissimi capolavori nel corso degli anni, come per il Monumento Equestre al Gattamelata di Donatello per esempio.
“Monumento Equestre al Gattamelata” Donatello
Descrizione
Il protagonista della statua è l’imperatore Marco Aurelio.
È a volto scoperto ed indossa la tunica ed il mantello da comandante.
Particolare di Marco Aurelio
Ai piedi non indossa scarpe aristocratiche, ma dei sandali militari.
Particolare dei sandali
È seduto su un sottosella in stoffa (o forse è in feltro).
Particolare della sella
Con la mano destra fa il gesto dell’adlocutio tipico dei comandanti che parlano ai soldati.
Particolare dell’adlocutio con la mano destra
Con la mano sinistra reggeva le redini del cavallo (ma sono andate perdute) ed indossa un anello d’oro da senatore.
Particolare della mano sinistra
Questa statua rappresenta il potere dell’imperatore ed è in una posa che ricorda molto un altro imperatore: Augusto.
Curiosità
Alcuni studiosi pensano che ai piedi della statua ci dovesse essere un barbaro prigioniero e Marco Aurelio stesse facendo un gesto di pietà.
Anche se indossa l’equipaggiamento militare, non c’è nessuna traccia di armi.
Quindi questa statua rappresenta la pace e la prosperità dell’Impero Romano ottenute con Marco Aurelio.
Repliche
Oltre alla statua originale ed alla copia sul Campidoglio, ci sono un altro paio di copie interessanti: una si trova alla Brown University (è in bronzo ed è stata realizzata nel 1908), mentre l’altra sta a Tulln, in Austria.
Statua Originale (in alto a sinistra), copia del Campidoglio (in alto a destra), copia della Brown University (in basso a sinistra) e copia di Tulln (in basso a destra)
Rappresenta una scena “illusoria”, ingannando la nostra percezione
C’è un evidente contrasto di colori e composizione tra la stanza interna ed il paesaggio che si vede fuori dalla finestra
Storia
Non c’è molto da dire sulla Condizione Umana Magritte.
È stata realizzata nel 1933, poi è stata acquistata da Claude Spaak ed è arrivata in Francia.
Poi, nel 1987 la National Gallery of Art di Washington l’ha comprata e – da quel momento – si trova negli Stati Uniti d’America.
Descrizione
La Condizione UmanaMagritte è un’opera che mette in risalto l’ambiguità della nostra percezione.
Il quadro rappresenta una stanza di una casa qualsiasi con un cavalletto per la pittura messo davanti alla finestra.
Particolare del cavalletto e della tela
Sulla tela nel dipinto c’è una parte del paesaggio che si vede fuori dalla finestra.
A prima vista non ci fai caso, ma poi ti rendi conto che c’è un modo semplice per distinguere la tela dal panorama della finestra.
Basta guardare i bordi della tela.
Particolare dei bordi della tela
E poi una piccola parte a sinistra di quest’ultima si sovrappone alla tenda marrone.
Significato
Spesso nei quadri di Magritte puoi avere la sensazione che i protagonisti siano persone ed elementi casuali.
Ma non è così.
Basta ragionare un attimo e collegare ciò che si vede nell’opera con il titolo.
E così si scopre il vero senso dell’opera.
Nel lavoro di MagritteLa Condizione Umana, il pittore ci mette davanti all’ambiguità di una situazione che sta in bilico tra realtà e fantasia.
E proprio come in questa scena, anche la nostra percezione è spesso in equilibrio tra sogno e realtà.
Per evidenziare il contrasto tra ciò che si vede fuori dalla finestra e l’ambiente interno, il pittore usa dei colori caldi nella stanza (come il marrone acceso per la tenda o il pavimento reso con un color ocra intenso) e toni freddi per l’esterno (verde, azzurro e bianco per le nuvole).
Soltanto i supporti del cavalletto sono in controluce e sono i primissimi dettagli che saltano alla vista, aiutandoci a capire che parte di ciò che vediamo dalla finestra in realtà è soltanto un dipinto.
Particolare dei supporti della tela
A rendere ancora più evidente il contrasto ci pensa la composizione dell’opera.
Se guardi con attenzione, nella stanza noterai che i dettagli (come il davanzale ed il confine del pavimento) che hanno un andamento verso sinistra; la stradina ed il prato esterno invece suggeriscono un movimento verso destra.
Schema dell’andamento dell’opera
La Condizione Umana 2
“La Condizione Umana II” Renè Magritte
Data di Realizzazione
1935
Dimensioni
100×81 cm
Tecnica
Olio su Tela
Dove si Trova
Collezione Simon Spierer, Ginevra
Informazioni La Condizione Umana 2 Magritte
Caratteristiche Chiave
Rispetto alla 1° versione cambia la scena, qui è molto più elementare e con meno dettagli
Magritte gioca sempre sulla percezione di realtà e finzione
Descrizione
Nella 2° versione della sua opera, Renè Magritte dipinge una stanza del tutto diversa.
Qui non ci sono tende, davanzali, alberi o altro.
È un ambiente spoglio.
C’è soltanto una grande porta ad arco che si affaccia su una spiaggia ed un cavalletto.
Sì, anche in questo caso siamo davanti ad un’illusione.
A 1° vista potrebbe sembrarti che l’arco sia sbagliato e che abbia una gigantesca apertura a rettangolo sul lato destro.
Particolare dell’ “errore” dell’arco
Ma non è così.
Sul lato destro c’è una tela con su dipinta la spiaggia che si vede in 2° piano.
Particolare della tela
È un quadro nel quadro.
Soltanto il bordo della tela ci fa capire che stiamo osservando una tela sulla destra e non una strana apertura sull’esterno.
Particolare dei bordi della tela
Ma c’è una differenza rispetto alla prima versione de La Condizione Umana.
Le tele sono messe in posizioni diverse.
Confronto delle posizioni dei cavalletti “La Condizione Umana” (sinistra) e “La Condizione Umana 2” (Destra)
Magritte gioca sull’illusione e vuole metterci alla prova.
Non si sa chi l’ha realizzata con certezza, forse è stato Epigono, lo scultore di corte di Pergamo
La scultura rappresenta un Galata (uno dei Galli) sconfitto da re Attalo I di Pergamo
L’opera originale è andata perduta ed oggi ci sono tante copie conservate in tutto il mondo e la più importante è quella dei Musei Capitolini a Roma
Il protagonista è curato nei minimi dettagli, compresa una ferita sull’addome da cui fuoriesce il sangue
L’autore della scultura vuole mostrare l’onore dello sconfitto, il quale usa tutte le sue forze per cercare di rialzarsi e combattere
Storia
Questa scultura è stata richiesta dal re Attalo I di Pergamo per celebrare la sua vittoria contro il popolo dei Galati.
Non sappiamo con certezza chi sia stato lo scultore a cui è stato affidato il lavoro, ma – con molta probabilità – doveva trattarsi di Epigono, lo scultore di corte che c’era in quel periodo.
L’opera viene completata ed è un grandissimo successo.
Poi, non abbiamo più sue notizie.
Nel 17° secolo, poi, durante gli scavi di Villa Ludovisi a Roma, salta fuori una statua che è tale e quale a quella di Epigono.
Ma è in marmo.
Quindi si tratta di una copia.
L’originale è andata perduta.
La copia in marmo la ritroviamo nel 1623 nella collezione di una ricca famiglia di Roma.
Molti scoprono questo capolavoro e decidono di far realizzare delle copie.
Ed è così che oggi ci sono un sacco di copie del Galata Morente, di cui le più importanti sono conservate nei seguenti luoghi:
Museo dell’Arte Classica di Roma all’Università La Sapienza
Museo di Archeologia Classica dell’Università di Cambridge
Galleria Courtauld di Londra
Pushkin Museum di Mosca
Berlino
Praga
Stoccolma
Venezia
Carrara
Alcune copie del Galata Morente
Curiosità: quando è stata scoperta questa scultura nessuno sapeva che si trattasse di un Galata. Guardandolo hanno pensato invece che fosse un gladiatore morente. Ed è così che sono nati un sacco di fraintendimenti sul suo nome. Negli anni la statua è stata chiamata Gladiatore morente, Gladiatore ferito o Mirmillone morente.
Ma la storia della copia trovata a Villa Ludovisi non finisce qui.
Nel 1797, quando Napoleone invade l’Italia con il suo esercito, ruba questa scultura (e molte altre) e le porta a Parigi.
Per fortuna nel 1815 il Galata viene riportato a Roma, ed oggi è conservato nei Musei Capitolini.
Nel 1815 l’opera viene riportata a Roma e si trova ai Musei Capitolini.
Descrizione
Questa scultura rappresenta un Galata Morente quasi del tutto sdraiato.
Sta soffrendo molto a causa di una ferita sull’addome, quasi sul fianco, da cui fuoriesce del sangue.
Particolare della ferita
Il dolore è fortissimo e si vede dalla sua espressione e dalla testa inclinata un po’ in avanti.
Particolare della testa
A ferirlo di certo è stato uno dei soldati del re di Pergamo Attalo I.
A terra le armi con cui ha combattuto: uno scudo ed una spada.
Particolare dello scudo e della spada
Al collo invece porta un gioiello in metallo del Nord Europa, chiamato torques.
Particolare del torques, il gioiello al collo
Sappiamo che si tratta di un Galata perché ha i baffi tipici del popolo dei Galli, così come i capelli riuniti in ciocche rigide. I Galati (o Galli) combattevano con capelli bagnati con acqua e gesso.
Particolare dei capelli e dei baffi
Con questa scultura, l’autore mette in risalto l’onore dello sconfitto, il quale, nonostante non ci sia più nulla da fare, stringe i denti ed usa le sue ultime forze per cercare di resistere e tornare in piedi combattendo il dolore della ferita.
Anche se l’opera ha particolari da ogni lato, è stata realizzata per essere ammiratadi fronte.
Parliamo un attimo della composizione:
Schema compositivo dell’opera
Il busto è inclinato verso sinistra e sorretto dal braccio destro
Le gambe sono parallele alla base e creano 2 triangoli compositivi
La testa inclinata in avanti crea un 3° blocco compositivo poco stabile
L’opera appartiene al periodo artistico paranoico-critico di Dalì
L’artista utilizza immagini doppie ed illusioni per rappresentare le allucinazioni sulla tela
La principale illusione riguarda il riflesso dei cigni nel lago, che qui diventano degli elefanti
Il paesaggio in secondo piano è ispirato ai paesi catalani
Storia
Dalì ha completato questa tela nel 1937.
Durante la 2° Guerra Mondiale l’opera è stata rubata dai tedeschi durante la loro occupazione in Francia ed è rimasta nel museo Jeu de Paume, nella Sala dei Martiri dal 1940 al 1944.
Oggi, la tela si trova nella collezione privata Cavalière Holding, Co., Inc a Ginevra, in Svizzera.
Descrizione
Dalì ha realizzato quest’opera durante il suo periodo Paranoico-critico.
Durante questi anni si serve soprattutto di immagini doppie nelle scene che elabora.
Queste – come spiega nel suo saggio “La Conquista dell’Irrazionale” del 1935 – fanno parte di un processo spontaneo della concezione irrazionale basata su un’associazione interpretativa critica del fenomeno del delirio.
Lo so, è molto complicato.
Per farla semplice, quelle che vedi in questa tela sono allucinazioni.
Ed il modo migliore per rappresentare le allucinazioni – secondo lui – nelle opere d’arte è utilizzando immagini doppie ed illusioni.
In questo lavoro si serve di un particolare riflesso in un lago.
E non è la prima volta.
Prima di Cigni che riflettono elefanti ha dipinto Metamorfosi di Narciso: il protagonista si trova in alto ed il riflesso è differente.
“Metamorfosi di Narciso” Salvador Dalì
Nell’altro lavoro di cui parliamo oggi, invece, i protagonisti della scena sono 3 cigni sull’acqua, sotto degli alberi desolati.
Particolare dei cigni
Il lago non riflette la loro forma ma tutt’altro:
Il collo dei cigni si trasformano nel corpo degli elefanti
Il corpo dei cigni si trasformano nelle orecchie degli elefanti
Gli alberi spogli diventano le gambe degli elefanti
Particolare degli elefanti
A circondare cigni ed elefanti c’è uno splendido paesaggio che ricorda i paesi Catalani in autunno, con colori rossastri molto intensi.
Particolare del paesaggio catalano
Sulle rocce ai lati del lago Dalì usa delle pennellate veloci, andando a formare dei vortici, in chiaro contrasto alla calma dell’acqua del lago.
Particolare dei vortici
Ma cigni ed elefanti non sono le uniche illusioni della scena.
Se guardi nel cielo in alto a sinistra vedrai una coppia di nuvole: quella più piccola ha la forma di un cane, mentre l’altra ricorda un essere umano.
Particolare delle nuvole a forma di cane (a sinistra) ed a forma di essere umano (a destra)
A sinistra dei cigni, invece, c’è un uomo di profilo in piedi che guarda a terra ed indossa una camicia bianca.
Particolare dell’uomo
Ricorda sempre che si tratta di una rappresentazione di un sogno, non tutti i dettagli devono avere per forza un senso.
Informazioni Madonna del Garofano Leonardo da Vinci
Caratteristiche Chiave
È un’opera realizzata da un giovane Leonardo da Vinci, quando lavora ancora nella bottega del Verrocchio
Il garofano al centro della scena è di colore rosso, il simbolo della Passione di Cristo
La Vergine indossa una spilla già vista nella Madonna Dreyfus e nella Madonna Benois
Maria ha un’espressione malinconica ed il Bambino guarda verso il cielo, come se entrambi conoscessero il destino di Gesù
Ci sono dettagli tipici dell’arte fiamminga (illuminazione, parapetto, natura morta in primo piano)
L’acconciatura di Maria è molto complessa e realistica
Storia
È il 1475 e Leonardo da Vinci è solo un ragazzo che lavora nella bottega del suo maestro: Andrea del Verrocchio.
Non sappiamo chi sia stato a richiedere questa tavola, ma – una volta completata – la ritroviamo nella collezione di Papa Clemente VII.
Per moltissimi anni, poi, non ci sono più informazioni.
Nel 19° secolo salta fuori a Günzburg, in Germania ed è proprietà di August Wetzler.
Non si sa come sia arrivata lì.
Si racconta che prima la Madonna del garofano si trovasse dei frati cappuccini a Burgau fino al 1806, poi il luogo è stato chiuso ed abbandonato.
La tavola quindi è tra le mani di August e sua moglie.
Alla loro morte, l’opera di Leonardo diventa di proprietà di Therese Wetzler, la sorella di August.
La donna muore nel 1885 ed in seguito le sue proprietà vengono vendute.
Così la Madonna del garofano finisce all’asta nel 1886.
La compra il dottor Albert Haug, il quale poi la rivende – nel 1889 – all’Alte Pinakothek di Monaco.
Curiosità: Al tempo si pensava che l’opera valesse 10.000 marchi e si pensava che fosse stata realizzata da qualche allievo del Verrocchio, ma nessuno pensava a Leonardo da Vinci!
Nel 1890 la tavola viene attribuita con certezza a Leonardo, merito di un disegno conservato al Louvre che ricorda molto il Gesù Bambino presente in questa scena.
Confronto del disegno del Louvre di Gesù Bambino (sinistra) e del Bambino nella Madonna del garofano (destra)
E poi c’è anche la spilla indossata da Maria, che ricorda molto quella presente sia nella Madonna Dreyfus che nella Madonna Benois, altri 2 capolavori di Leonardo da Vinci.
Confronto della spilla della Vergine nella Madonna del garofano (sinistra), nella Madonna Dreyfus (centro) e nella Madonna Benois (destra)
Descrizione
I protagonisti della scena sono la Vergine Maria e Gesù Bambino.
Alle loro spalle c’è una stanza scura, con la luce che entra da un paio di finestre sullo sfondo che lasciano intravedere un paesaggio.
Particolare delle finestre e del paesaggio
Quest’ultimo è disposto su più piani, tra valli e montagne che sono poco definite per via della presenza di una forte luce chiara.
La Vergine è in primo piano in piedi ed è appoggiata su un parapetto.
Qui sopra ci sono:
Un vaso di vetro con fiori sulla destra
Parte del vestito di Maria
Gesù Bambino un po’ paffuto su un cuscino a sinistra
Particolare del Bambino e dei fiori sul parapetto in primo piano
Guarda da vicino la faccia di Maria.
Particolare del volto di Maria
È triste mentre guarda il piccolo Gesù, come se sapesse quale sarà il suo triste destino.
Il Bambino si avvicina ad un garofano rosso, che ha 2 significati:
Il rosso è il colore del sangue della Passione
Il garofano simboleggia il matrimonio mistico tra Madre e Figlio, tra Cristo e la Chiesa
Particolare del garofano
Maria indossa una veste – forse di seta – molto elaborata e dettagliata di colore rosso, con un mantello azzurro foderato di giallo che lascia scoprire le maniche.
Particolare del vestito della Vergine
Il mantello è chiuso sul petto da una spilla con al centro una corniola (è un cristallo) rossa che allude ancora una volta alla Passione di Cristo. Attorno al cristallo ci sono le perle, che invece simboleggiano castità e purezza.
Particolare della spilla
Non solo il vestito è molto curato, ma anche l’acconciatura di Maria.
Particolare dei capelli della Vergine
Le trecce le circondano la fronte e reggono un velo quasi invisibile, con alcuni riccioli dorati che cadono sui lati del volto.
Ora concentriamoci un momento sul piccolo Gesù.
Particolare di Gesù Bambino
Sta seduto, incuriosito dal fiore e si allunga verso di lui ma eseguendo un movimento quasi innaturale.
Il suo sguardo è rivolto verso il cielo, come se fosse consapevole del suo destino, ma nonostante ciò, lo accettasse comunque, affidandosi a Dio Padre.
Parliamo un momento della struttura dell’opera.
È articolata su 3 livelli:
Livello con Gesù Bambino
Vergine con le finestre
Paesaggio
Composizione a livelli dell’opera
Riguardando i dettagli, questa tavola mostra i notevoli progressi del giovane Leonardo.
Infatti ci sono riferimenti all’arte fiamminga, come:
Il complesso sistema di illuminazione della stanza dipinta
La presenza del parapetto
La natura morta in 1° piano piano con il vaso di fiori
E poi c’è la luce frontale che mette in risalto sia il Bambino che la Vergine, rendendoli monumentali.
Poi non c’è più la rigidità nei movimenti dei protagonisti tipica dell’arte antica, ma c’è una naturalezza e dolcezza senza precedenti.
Sappiamo che si tratta di un’opera del giovane Leonardo, perché il volto della Vergine ricorda molto quello di Maria presente nell’Annunciazione (puoi leggere qui la descrizione completa se ti interessa) degli Uffizi, realizzata nello stesso periodo.
Confronto del volto della Vergine nella Madonna del garofano (sinistra) e nell’Annunciazione (destra)
E poi ci sono anche dei dettagli che rivelano il futuro talento di Leonardo:
Il realismo ed i dettagli delle rocce
I particolari del panneggio della veste gialla di Maria
L’acconciatura raffinata della Vergine (che ricorda molto quella che si vede anche in un disegno che ha realizzato della Leda con il cigno)
Confronto dei capelli della Vergine nella Madonna con garofano (sinistra) e nel disegno della Leda con il cigno (destra)
“Ritratto del Dottor Gachet” Vincent Van Gogh (1° versione a sinistra, 2° versione a destra)
Data di Realizzazione
1890
Dimensioni
67 cm × 56 cm
Tecnica
Olio su tela
Dove si Trova
Sconosciuto
Informazioni Ritratto del Dottor Gachet Van Gogh 1° Versione
Data di Realizzazione
1890
Dimensioni
67 cm × 56 cm
Tecnica
Olio su tela
Dove si Trova
Musée d’Orsay, Parigi
Informazioni Ritratto del Dottor Gachet Van Gogh 2° Versione
Caratteristiche Chiave
Il ritratto del Dottor Gachet è uno dei lavori più famosi di Van Gogh; ritrae Paul Gachet, un dottore ed artista principiante amico di Vincent e che si è preso cura di quest’ultimo negli ultimi mesi della sua vita
Ci sono 2 versioni del ritratto, entrambe del 1890. Sono differenti per alcuni dettagli e colori
Alcuni critici pensano che la 2° versione del ritratto non sia stata fatta da Van Gogh ma dallo stesso Dottor Gachet e da suo figlio
Non si sa dove sia ora la 1° version del ritratto
In entrambe le versioni il protagonista ha un’espressione triste e malinconica e sul tavolo c’è una pianta che potrebbe simboleggiare il suo ruolo di dottore
Lo sfondo nei 2 ritratti è differente
Storia
È il 1888.
Vincent Van Gogh non sta bene.
Comincia ad avvertire i primi sintomi di un collasso mentale, che di lì a poco lo porterà a tagliarsi un orecchio dopo aver litigato con il suo amico/collega Gauguin.
Dopo questo evento, rimane in ospedale per un mese.
Quando viene dimesso non si sente ancora al 100%, così decide – di sua spontanea volontà – di farsi ricoverare nella casa di cura di Saint-Rémy-de-Provence.
Rimane qui per un anno e quando esce, Theo Van Gogh, suo fratello, gli da una mano a cercare una casa.
Camille Pissarro, amica di Van Gogh (ed ex paziente del Dottor Gachet) suggerisce a Theo di far conoscere Vincent con il Dottor Gachet, poiché quest’ultimo è molto interessato agli artisti.
Theo segue il consiglio di Camille e così Vincent si trasferisce nella 2° casa del dottore, ad Auvers.
Il primo incontro tra Van Gogh e Gachet non va benissimo.
Vincent, in una lettera a suo fratello, scrive:
Penso che non possiamo contare sul Dr. Gachet. Prima di tutto, penso che lui stia più male di me, o almeno quanto me, ed è evidente. Quando un cieco guida un altro cieco, non cadono entrambi nel fosso?”
Ma cambia subito idea.
Due giorni dopo, il pittore scrive una lettera a sua sorella Wihelmina, dove c’è scritto:
Ho trovato un vero amico nel Dr. Gachet, come se fosse un altro fratello, ci assomigliamo molto sia fisicamente che mentalmente”.
Mentre si trova qui, Vincent ha realizzato un sacco di opere (più di 70!), compreso il ritratto Dottor Gachet.
In un’altra lettera del 1890 – sempre indirizzata alla sorella – scrive, a proposito di quest’opera:
Ho finito il ritratto di M. Gachet con un’espressione malinconica, che potrebbe sembrare (per chi lo vede) una specie di smorfia.. Triste ma gentile, nello stesso tempo chiaro ed intelligente. È così che dovrebbero essere fatti molti ritratti.. Ci sono teste moderne che potrebbero essere osservate molto a lungo, e che forse verranno viste con nostalgia 100 anni dopo.”
Curiosità: Van Gogh ha completato il ritratto del dottore 6 settimane prima di spararsi con una scacciacani. È morto tempo dopo a causa delle ferite.
Storia Della 1° Versione del Ritratto
“Ritratto del Dottor Gachet” Van Gogh (1° Versione)
Le 2 versioni hanno due storie differenti.
Ecco cosa è accaduto alla prima versione del ritratto:
1897: La cognata di Van Gogh, Johanna Van Gogh-Bonger la vende per 300 franchi
‘900: La tela finisce prima tra le mani di Paul Cassirer, poi di Kessler e poi Druet
1911: Viene comprato dallo Städel Museum di Francoforte e rimane lì fino al 1933
1937: Il Ministero del Reich confisca la tela poiché la ritiene oggetto di un’arte degenerata
1939: Viene venduta a Franz Koenig a Parigi e poi viene portata a New York, dove finisce in custodia di Siegfried Kramarsky
1990: Kramarsky mette la tela all’asta da Christie’s a New York e viene acquistata da Ryoei Saito
Ed è qui che la storia prende una strana piega.
Saito compra il ritratto di Van Gogh per 82,5 milioni di dollari.
Lui è un uomo d’affari giapponese e desiderava che il quadro venisse cremato con lui dopo la sua morte.
Ma poi cambia idea e vorrebbe donarlo al governo giapponese oppure ad un museo.
Purtroppo non è accaduto nulla di tutto questo.
Saito muore nel 1996 e non ci sono più informazioni sul ritratto del Dottor Gachet.
Curiosità: Si dice che l’opera sia stata venduta ad un manager di fondi di investimento austriaco di nome WolfgangFlöttl, il quale poi l’avrebbe rivenduta ad altre persone sconosciute. Lo Städel Museum ha anche assunto un investigatore privato per ritrovare il ritratto, ma senza successo.
Storia Della 2° Versione del Ritratto
“Ritrato del Dottor Gachet” Van Gogh (2° Versione)
La 2° versione della tela all’inizio era proprietà del Dottor Gachet.
A metà del ‘900 i suoi eredi hanno deciso di donare il ritratto (insieme ad altre opere post-impressioniste) alla Repubblica di Francia.
Ma, ad essere sinceri, c’è sempre stato un po’ di scetticismo su questa versione: molti pensano che non sia autentica.
Ora ti spiego il perché.
In una lettera del 3 giugno 1890 scritta da Vincent ed indirizzata a Theo, il primo dice che sta lavorando sul ritratto e parla di un libro giallo e di una pianta medicinale chiamata digitale con fiori viola.
La descrizione corrisponde alla perfezione alla 1° versione del ritratto.
Mentre nella 2° versione non ci sono né libri né fiori.
Poi devi sapere che il Dottor Gachet e suo figlio Paul erano artisti principianti e spesso hanno fatto delle copie dei dipinti Post-Impressionisti che avevano nella loro collezione.
Una volta terminate le copie le firmavano con gli pseudonimi di Paul e Louis Van Ryssel.
Gli studiosi, dopo aver scoperto questo importante dettaglio, hanno iniziato a mettere in dubbio l’autenticità di tutte le opere presenti nella collezione di Gachet.
E non è tutto.
Alcuni critici hanno fatto i conti e pensano che sia stato impossibile che Vincent Van Gogh abbia potuto dipingere circa 80 tele nel periodo che è stato lì.
È stato davvero Van Gogh a realizzare tutte le opere mentre era ad Auvers?
Per rispondere a questa domanda, il Musée d’Orsay – che ora conserva la 2° versione del ritratto – ha fatto fare delle analisi approfondite di 8 tele presenti nella collezione del dottore e li ha confrontati con i lavori realizzati da Gachet e suo figlio (e nell’esame è incluso il ritratto fatto da Van Gogh).
I risultati sono stati interessanti:
I pigmenti di pittura dei dipinti fatti da Van Gogh sono sbiaditi in modo diverso dalle copie fatte dal dottore
Le tele realizzate dai Gachet sono fatte con contorni e riempiti con la pittura, mentre i lavori di Van Gogh (ed anche quelli di Cézanne) sono dipinti subito su tela
Vincent ha usato la stessa tela ruvida per i suoi lavori ad Auvers (tranne per la Chiesa di Auvers)
Quindi questo lavoro è stato fatto da Van Gogh, sì o no?
Non si sa.
Rispetto alle tele che Vincent ha dipinto in passato, questo ritratto è di qualità inferiore (ma è comunque meglio rispetto a quelli eseguiti dal Dottor Gachet e suo figlio).
Descrizione
Parliamo della 1° versione della tela.
Van Gogh dipinge il dottore con il gomito appoggiato su un tavolo rosso e con la testa sorretta dal braccio.
Alla sua sinistra ci sono dei libri gialli e la pianta medicinale digitale.
Particolare dei fiori e dei libri gialli
Curiosità: Da questa pianta viene estratto il digitale che viene usato per trattare dei problemi al cuore. Forse è un oggetto simbolo usato per indicare che Gachet è un dottore.
Il protagonista ha un’espressione malinconica e gli occhi stanchi.
Particolare dell’espressione
Questo è un dettaglio importante, poiché dimostra che Van Gogh ha voluto realizzare un “ritratto moderno“, mettendo in evidenza – oltre che i dettagli fisici – l’aspetto psicologico del protagonista.
Usa dei color intensi e la pennellata è evidente.
Nella 2° versione del ritratto, l’espressione del dottore è ancora più afflitta.
Confronto dei volti (1° versione a sinistra, 2° versione a destra)
Sono spariti i libri ed è rimasta soltanto la pianta medicinale.
Particolare della pianta nella 2° versione del ritratto
Lo sfondo non è più composto da piccole pennellate, ma è tutto più uniforme.
Confronto dello sfondo (1° versione in alto, 2° versione in basso)
La giacca che indossa, poi, è priva di bottoni, mentre nella prima versione c’erano.
Confronto della giacca e dei bottoni (1° Versione a sinistra e 2° Versione a destra)
• Altezza: 129,5 • Larghezza: 63,5 • Profondità: 41,9 cm
Dove si Trova
1° e 2° Versione: Perdute 3° Versione: Museum of Modern Art, New York
Informazioni Ruota di Bicicletta Marcel Duchamp
Caratteristiche Chiave
Ruota di bicicletta è un ready-made di Duchamp che ha realizzato per la 1° volta nel 1913 e che poi ha riprodotto più volte nell’arco della sua vita
La versione originale è andata perduta, quella più famosa è del 1951 ed è conservata al MoMa
A differenza dei futuri ready-made, questo include l’elemento dinamico della ruota che può girare
La ruota messa sottosopra e lo sgabello bucato non hanno alcuna utilità, ma messi insieme diventano un’opera d’arte
Lo sgabello rappresenta la staticità, la ruota invece il movimento
La ruota e la forcella sono di colore scuro, mentre lo sgabello è chiaro (quindi ha giocato sul contrasto di colori)
La versione originale è andata perduta e quella a cui farò riferimento è quella che si trova al MoMa di New York ed è stata realizzata nel 1957, molti anni dopo rispetto all’originale.
Storia
Nota: la versione originale dell’opera è andata perduta quando la sorella di Duchamp ha riordinato il suo studio. La 2° replica non si sa che fine abbia fatto, quindi in questo articolo farò riferimento alla versione conservata nel Museum of Modern Art di New York.
La 3° versione della ruota di bicicletta Duchamp è stata realizzata per una mostra del 1951 alla Sidney Janis Gallery di New York.
L’idea originale, in realtà, è venuta in mente a Duchamp molti anni prima quando aveva già deciso di andare contro la tradizionale concezione di arte.
Si è trasferito a New York nel 1915, ed è qui che ha utilizzato per la 1° volta la parola ready-made.
Nota: la parola ready-made nell’arte viene usata per identificare un qualsiasi oggetto prefabbricato che viene messo in un contesto che non c’entra nulla, così da trasformarsi in un’opera d’arte. In poche parole si tratta di un oggetto quotidiano che diventa un’opera d’arte quando l’artista lo trasferisce in una situazione in cui non c’entra nulla (come ad esempio una pentola in una lavatrice). Il ruolo dell’artista è quello di scegliere l’oggetto e di spostarlo altrove. Puoi approfondire questo concetto qui.
Agli inizi degli anni ’50 realizza questa versione, ma lo fa in modo diverso dalle volte precedenti.
Questa volta, infatti, incarica Sidney Janis – il proprietario della galleria – di trovare gli oggetti necessari per il lavoro, e poi l’ha fatta realizzare ad altri.
Sidney ha trovato a Parigi la ruota di bicicletta e lo sgabello a Brooklyn.
Duchamp si è limitato ad unire i 2 oggetti, senza pensare troppo al risultato.
A lui interessava più il concetto che la bellezza dell’opera.
Descrizione
Quest’opera è una ruota di bicicletta messa sottosopra su uno sbagello di legno.
La forcella della ruota è funzionante e permette a quest’ultima di girare.
Significato
A differenza dei ready-made che Duchamp ha fatto in futuro, questo è differente.
Perché c’è un elemento dinamico: ed è la ruota che può girare.
Secondo lui questa dà tranquillità e relax contro lo stress della vita quotidiana.
Ma c’è dell’altro.
In francese le parti principali del lavoro si chiamano così:
Raggi: Rayon
Ruota: Roue
Sgabello (o sella, in questo caso): Selle
Se aggiungiamo le iniziali di Marcel Duchamp (quindi la M e la D) unendo le parole ottieni RayMonD roue Selle, una variazione di Raymond Roussel, un collega di Duchamp.
Tra la ruota e lo sgabello non c’è alcun legame sensato.
Unendoli non possono funzionare e non hanno alcuna utilità: la ruota messa così non serve per muoversi e lo sgabello e bucato al centro.
Ma una volta che vengono uniti si trasformano in un nuovo oggetto.
E poi – come simboli – hanno anche un altro significato:
Sgabello: sostenendo la ruota rimane fermo e stabile
Ruota: di solito ruota per funzionare quindi rappresenta il movimento e la velocità
Hanno 2 significati opposti.
Infine, anche i colori che ha utilizzato sono interessanti (e contrapposti), infatti la ruota e la forcella sono scure mentre lo sgabello è chiaro.
• Marmo (la maggior parte delle versioni) • Oro (Venere degli Stracci d’oro)
Dove si Trova
• Collezione De Bennardi, Napoli (versione 1967) • Collezione Privata, Germania (versione 1967) • Castello di Rivoli, Torino (versione 1967) • Toyota Museum of Contemporary Art, Giappone (versione 1970) • Hirschhorn Museum, Washington (versione 1970) • Collezione Lia Rumma, Napoli (versione 1972)
Informazioni Venere degli Stracci Pistoletto
Caratteristiche Chiave
Esistono tante versioni dell’opera
Mette in contrasto la bellezza classica di Venere con la bruttezza e le caratteristiche negative degli stracci
Esiste una versione tutta d’oro, chiamata Venere degli stracci dorata
La statua di Venere usata nell’opera è ispirata alla Venere con mela di Thorvaldsen
Storia
Esistono un sacco di versioni della Venere degli Stracci di Pistoletto.
Quella originale è stata esposta nel 1967.
In quel caso, Michelangelo ha usato una statua di una Venere in cemento comprata da un negozio che vendeva decorazioni per il giardino e che poi ha ricoperto con uno strato di mica (è un minerale) per rendere la superficie glitterata.
Sempre nel 1967 ha realizzato altre 3 versioni usando dei calchi in gesso del suo lavoro originale.
Queste 3 sculture si trovano:
Collezione De Bennardi a Napoli
Collezione privata in Germania
Collezione di Giuliana e Tommaso Setari, a Milano (ora è in un prestito a lungo termine al Castello di Rivoli, Museo di Arte Contemporanea a Torino)
Venere degli Stracci (a sinistra la versione di Napoli ed a destra la versione di Rivoli)
Poi, nel 1970, Pistoletto ha realizzato altre 2 versioni dell’opera.
Questa volta, però, ha usato un calco più grande di Venere, ottenendo una statua alta 1 metro e 60 cm.
Le versioni più grandi sono conservate a:
Toyota Museum of Contemporary Art, Giappone
Hirshorn Museum, Washington
Venere degli Stracci (a sinistra la versione dell’Hirshorn Museum ed a destra la versione del Toyota Museum)
Ma non finisce qui.
Nel 1972 ha realizzato una versione speciale dell’opera, tutta d’oro e l’ha chiamata Venere degli stracci dorata.
“Venere degli stracci dorata” Michelangelo Pistoletto
Oggi si trova nella collezione Lia Rumma a Napoli.
A proposito di lavori speciali, nel 1974 è stata realizzata un’altra Venere (chiamata T12200) con pietre da taglio in Toscana e con uno speciale marmo greco contenente mica.
Descrizione
La Venere degli stracci è composta da un contrasto.
Da una parte c’è la statua di Venere, la dea romana dell’amore e della bellezza, e davanti a lei c’è un gigantesco ammasso di vestiti colorati buttati a terra.
La statua ci dà le spalle e la faccia ed il corpo sono appoggiate alla pila di panni, rendendo impossibile guardarla in faccia.
Curiosità: il modello originale della statua di Venere utilizzato da Pistoletto è ispirato al lavoro dello scultore Thorvaldsen del 1805 chiamato Venere con mela ed oggi conservato al Louvre.
“Venere con mela” Thorvaldsen
Significato
Michelangelo Pistoletto sceglie di usare la statua di Venere perché è un soggetto ricorrente nell’arte occidentale.
La sua opera è basata sui contrasti.
Venere
Stracci
Dura
Morbidi
Forma Precisa
Ammasso Informe
Un Solo Colore
Tanti Colori
Statica
Possono Essere Spostati
Preziosa
Senza valore
Storica
Contemporanei
Unica
Comuni
Riassunto dei Contrasti della Venere degli Stracci
I vestiti sono degli oggetti quotidiani e “senza valore”, ed, includendoli nell’opera, Pistoletto dimostra di voler rappresentare nell’arte qualsiasi aspetto.
Questa è una caratteristica dell’Arte Povera, molto popolare alla fine degli anni ’60 e di cui Pistoletto è uno degli artisti più importanti.
Per lui ogni oggetto, forma, materiale o idea può (e deve) essere usato per fare arte.
Pistoletto ha usato gli stracci anche in altri suoi lavori dello stesso periodo, come il Monumentino e l’Orchestra degli stracci, entrambi realizzati nel 1968.
“Monumentino” Michelangelo Pistoletto
Curiosità: i ritagli di stoffa presenti nella 1° versione della Venere con gli stracci erano quelli che l’artista aveva usato per pulire gli specchi che aveva usato in precedenza per altre sue opere, come l’Uomo in piedi. Per T12220 invece ha tolto gli stracci e ci ha messo abiti usati.
Non importa se i vestiti – tra una versione ed un’altra – cambiano, l’importante è che siano sempre di tanti colori diversi e che siano confusionari ed arruffati.
“Cadeau” Man Ray (Replica conservata alla Tate Modern)
Data di Realizzazione
1921
Dimensioni
Varia
Dove si Trova
Originale: Rubata 5.000 Repliche: In Tutto Il Mondo
Informazioni Cadeau Man Ray
Caratteristiche Chiave
Il nome dell’opera è Le Cadeau che in italiano si traduce con Il dono
È un controsenso: si chiama “Dono” ma non è un regalo, anzi, sembra un’arma
La versione originale è stata rubata il giorno della sua prima esposizione
Oggi esistono più di 5.000 repliche autorizzate da Man Ray
È un oggetto inutilizzabile: i chiodi sulla piastra rendono impossibile usare il ferro per stirare
È il 1° oggetto Dadaista che Man Ray ha realizzato in Francia
Storia
Man Ray ha realizzato quest’opera per la sua 1° mostra individuale a Parigi, presso la Galerie Six di Philippe Soupault.
Era il 3 dicembre 1921.
A raccontare la storia di com’è nato questo lavoro ci pensa proprio Man Ray, che nelle sue memorie racconta di quando ha conosciuto Erik Satie, un compositore francese – suo grande fan – che lo ha ispirato.
Ecco cosa ha scritto:
Un piccolo e volubile omino cinquantenne è venuto da me e mi ha portato vicino ad uno dei miei dipinti.. Io ero stanco per la preparazione per l’apertura [della mostra], la galleria non aveva riscaldamento, avevo i brividi ed ho detto in inglese che avevo freddo. Lui mi ha risposto in inglese, mi ha preso per il braccio e mi ha portato fuori dalla galleria ad un café all’angolo, dove ha ordinato degli alcolici caldi. Si è presentato come Erik Satie ed ha cominciato a parlare in francese ed io gli ho detto che non lo capivo. Con una scintilla nei suoi occhi ha detto che non importava. Così abbiamo preso un altro paio di alcolici; ho cominciato a scaldarmi ed avere la testa leggera. Lasciando il café, siamo passati vicino ad un negozio che aveva diversi utensili per la casa esposti. Così ho preso un ferro da stiro, quello che viene messo sulle stufe a carbone [per farlo riscaldare] ed ho chiesto a Satie di entrare con me, dove, con il suo aiuto, ho comprato una scatola di chiodi ed un tubo di colla. Una volta tornato in galleria ho incollato una fila di chiodi sulla superficie liscia del ferro, l’ho chiamata Il dono e l’ho aggiunta alla mostra. Questo è stato il mio primo oggetto Dada in Francia”.
Man Ray, “Self Portrait”, Andre Deutsch, Londra, 1963
Man Ray e Satie sono rimasti amici fino alla morte di quest’ultimo nel 1925.
L’artista, poi, voleva donare l’opera a Philippe Soupault per ringraziarlo di avergli dedicato la mostra, ma il ferro con i chiodi è stato rubato dalla galleria lo stesso giorno dell’esposizione e non è stato più ritrovato.
Nel corso degli anni poi Man Ray ha fatto altre riproduzioni dell’opera, e quand’era più anziano, ha autorizzato 2 edizioni limitate:
Una serie di 11 pezzi da collezione pubblicati dalla Galleria II Fauno a Torino nel 1972
Più di 5.000 repliche in scala nel 1974
Invece, alcune delle repliche del Cadeau Man Ray sono conservate a:
Tate Modern a Londra
Museum of Modern Art di New York
Smithsonian American Art Museum di Washington
“Cadeau” di Man Ray (a sinistra la replica della Tate Modern, al centro quella del MoMA di New York ed a destra quella dello Smithsonian)
Descrizione
Il ferro da stiro è messo in verticale, nella stessa posizione quando non è in uso.
È composto da una piastra in metallo con 14 chiodi attaccati. Anche il manico è in metallo.
Questo vecchio modello – in passato – per farlo scaldare veniva messo sulla superficie bollente della stufa.
Sul lato sinistro c’è il titolo dell’opera e la data di realizzazione.
Ma perché si chiama Il Dono?
È un controsenso volontario poiché un ferro da stiro con i chiodi è più un’arma che un regalo.
Una tipica caratteristica del Dadaismo.
Nota: Il Dadaismo è una corrente artistica del ‘900. Il manifesto dle movimento è stato realizzato da Tristan Tzara nel 1918, dove scrive che la parola Dada non significa niente. Gli studiosi pensano che questo termine ricordi una delle prime “parole” dei neonati, mentre altri dicono che sia una parola trovata a caso sul dizionario. Tzara aggiunge che gli artisti del movimento non producono teorie. Loro provocano e negano qualsiasi possibilità di etichettare il loro lavoro. Vanno contro alle regole della società e delle gaellerie d’arte. Sono contrari alla guerra e ce l’hanno con la classe borghese, poiché pensano che siano stati loro a causare il conflitto di quegli anni.
Il ferro da stiro è un oggetto utile per rendere più bello un vestito, mentre i chiodi sono oggetti da lavoro.
Quindi da una parte c’è la bellezza e dall’altra la necessità del lavoro.
Come per la Ruota di bicicletta di Duchamp (se ti interessa puoi leggere qui l’analisi) anche Cadeau è inutilizzabile: i chiodi sono proprio al centro della piastra e quindi il ferro da stiro non funziona.
Si tratta di 2 oggetti legati tra loro senza un legame logico.
“Disintegrazione della Persistenza della Memoria” Salvador Dalí
Data di Realizzazione
1952-1954
Dimensioni
24 x 33 cm
Tecnica
Olio su tela
Dove si Trova
Salvador Dalí Museum, Florida
Informazioni La Disintegrazione della Persistenza della Memoria Dalí
Caratteristiche Chiave
Dalí ha riutilizzato lo stesso paesaggio visto nella Persistenza della Memoria ed ha aggiunto mattoni, proiettili, acqua ed un pesce
Il pittore realizza quest’opera basandosi sul suo interesse per la fisica quantistica
I proiettili simboleggiano le armi e quant’è pericoloso utilizzarle
Nella parte inferiore della scena usa colori e toni freddi, nella parte superiore usa toni caldi
Storia
Vediamo com’è nata l’idea per questa tela.
Dalí ha cominciato ad interessarsi alla fisica nucleare dopo lo scoppio delle bombe atomiche che hanno segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale nel luglio 1945.
Così comincia a studiare le recenti scoperte e capisce che la materia è fatta di atomi che non si toccano tra loro.
Affascinato da questo concetto, decide di riportarlo all’interno delle sue opere d’arte.
Così comincia ad inserire nelle sue scene degli oggetti sospesi che non si toccano tra loro, come nella Madonna di Port Lligat.
“Madonna di Port Lligat” Salvador Dalí
Nel caso de La Disintegrazione della Persistenza della Memoria decide di prendere la stessa scena che ha usato per un suo precedente lavoro: la Persistenza della Memoria (se in seguito vuoi leggere la sua storia, trovi tutto in questo articolo).
Persistenza della Memoria (sopra) Disintegrazione della Persistenza della Memoria (sotto)
Ma la modifica del tutto.
Devi anche sapere che in questi anni Dalí si è un po’ stancato del Surrealismo, e con questo lavoro dimostra il proprio interesse verso la fisica nucleare ed altri argomenti.
Oggi l’opera si trova nel Salvador Dalí Museum, in Florida, nella città di San Pietroburgo.
Descrizione
Come abbiamo già detto, la scena ritratta in quest’opera è la stessa della Persistenza della memoria.
Ma ci sono dei cambiamenti.
Qui l’acqua ha allagato quasi del tutto il paesaggio.
La disintegrazione è la vera protagonista, con mattoncini, proiettili ed oggetti messi qua e là.
Quello che una volta era il paesaggio di Port Lligat, ora è tutto sommerso.
I mattoncini ricoprono la parte inferiore della composizione e sembrano dirigersi verso il centro, dove poi si trasformano in proiettili.
Particolare dei proiettili e dei blocchi
L’interesse di Dalí per la fisica nucleare lo porta a trasformare oggetti giganti in elementi che fluttuano nello spazio.
Questi “oggetti volanti” sono la natura corpuscolare della materia.
Ma perché ci sono dei proiettili?
Simboleggiano le armi ed il pericolo che deriva nell’usare le armi atomiche.
Poi ci sono gli orologi sciolti presi dalla Persistenza della memoria, con l’aggiunta di un pesce.
Particolare degli orologi sciolti e del pesce
Se nella vecchia opera c’era un grande spazio vuoto, questi dettagli simboleggiano le fluttuazioni dell’energia.
E non è tutto.
Dalí, per rendere ancora più surreale il quadro usa sia colori caldi che colori freddi:
La parte terrestre in alto della scena è immersa in un’alone di luce gialla
La parte inferiore con l’acqua è realizzata con colori azzurri (c’è il blu per le parti più profonde mentre per quelle in superficie usa il color ocra ed arancione)
Particolare dei colori caldi e freddi utilizzati
Ed infine c’è una doppia composizione: la parte inferiore della scena segue l’andamento dei blocchi (e dei proiettili), mentre quella in alto è basata su linee orizzontali che ricordano l’andamento della scogliera.
La Tomba dei Leopardi si trova nella necropoli etrusca dei Monterozzi, a Tarquinia.
È un luogo fantastico e molto importante a livello artistico (infatti è patrimonio dell’umanità UNESCO).
La tomba si chiama così perché ci sono 2 leopardi davanti all’entrata con le bocche aperte attorno ad un albero.
Particolare dei Leopardi
Lo stile delle decorazioni ricorda molto l’arte greca del 5° secolo a.C.
Descrizione
Le parti a spioventi del soffitto sono decorate con scacchi bianchi, rossi e verdi; questi colori si trovano anche nelle linee attorno alla trave di colmo e nei cerchi concentrici.
Particolare degli scacchi
Sulla parte destra della tomba c’è un importante affresco: un danzatore con in mano una coppa con 2 suonatori.
Particolare del danzatore e dei musicisti
Il danzatore indossa la tebenna, la tipica veste etrusca.
Particolare del danzatore
Poi c’è il suonatore al centro che indossa un vestito giallo, rosso ed azzurro, impegnato a suonare l’aulos.
Particolare del suonatore di Aulos
Quello più a destra – e più vicino all’entrata – invece sta usando una cetra.
Particolare del suonatore di cetra
Sulla parte centrale della stanza viene ritratta la scena di un banchetto.
Particolare dell’affresco del banchetto con gli sposi e gli schiavi
Nota: so che l’immagine qui sopra è di pessima qualità, ma non ne ho di migliori. Se hai delle immagini più nitide, fammelo sapere con un commento in fondo a questo articolo e ti contatterò per sostituirla in questo articolo.
Si tratta di 3 coppie di sposi sdraiati su dei letti a coppia.
Stanno bevendo vino ed in desta hanno un ramo di mirto.
Guardando da vicino puoi notare che gli uomini hanno la carnagione più scura e sono a petto scoperto, mentre le donne sono bionde ed hanno la carnagione chiarissima (si tratta di una caratteristica tipica dell’arte greca).
Particolare degli sposi
Tra gli sposi ci sono anche un paio di servi.
Particolare degli schiavi
Voglio mostrarti un dettaglio interessante.
Lo sposo più a destra di tutti ha in mano un uovo.
Particolare dell’uovo
L’uovo è il simbolo della rinascita e lo sta mostrando a tutti.
Curiosità: gli affreschi della Tomba dei Leopardi sono molto famosi soprattutto per la cura dei particolari, dei colori utilizzati e per la varietà degli abiti indossati dai suonatori e dagli altri protagonisti.
Ho trovato un video su YouTube di una ricostruzione 3D della Tomba dei Leopardi. Lo trovi qui sotto, dà un’occhiata.
“Nafea Faa Ipoipo (Quando ti sposi?)” Paul Gauguin
Data di Realizzazione
1892
Dimensioni
105 x 77,5 cm
Tecnica
Olio su Tela
Dove si Trova
Collezione Privata
Informazioni Nafea Faa Ipoipo Paul Gauguin
Caratteristiche Chiave
Il titolo originale della tela è Nafea Faa Ipipo, che in tahitiano vuol dire “Quando ti sposi?“
È stata venduta a Sheikha Al-Mayassa bint Hamad Al-Thani per 250 milioni di dollari
Non c’è prospettiva e la linea d’orizzonte è molto in alto
Usa pochi colori e non c’è chiaroscuro
La scena è suddivisa da linee orizzontali e dai colori
L’illuminazione è fittizia e non si capisce neanche dov’è il sole
Storia
Gauguin arriva a Tahiti per la 1° volta nel 1891 alla ricerca del luogo ideale per realizzare la sua arte primitiva.
Ma quando arriva qui, è ben diversa da come se la immaginava.
Tahiti è stata colonizzata nel 18° secolo e gli indigeni sono stati uccisi dalle malattie portate dagli europei.
La cultura primitiva che cercava purtroppo non esiste più.
Ma Gauguin non si arrende e si concentra nella realizzazione di opere con protagoniste delle donne del luogo nude o con addosso dei vestiti tradizionali del luogo.
E poi ha fatto anche altre opere – sempre con donne protagoniste – dove indossano degli abiti occidentali, come si vede in questa tela (soprattutto per la donna in secondo piano).
Quando ritorna in Francia ad esporre le sue opere, non ottiene il successo sperato.
Paul decide di vendere quest’opera per 1.500 franchi: un prezzo altissimo.
E nessuno la compra.
Soltanto nel 1917 sarà Staechelin a comprarla alla Maison Moos, per poi prestarla per 50 anni al Kunstmuseum di Basilea.
Nel febbraio 2015 la famiglia Staechelin la vende a Sheikha Al-Mayassa bint Hamad Al-Thani per 210 milioni di dollari all’incirca.
Ed oggi si trova in una collezione privata.
Descrizione
Le protagoniste sono due donne su un prato.
La più giovane, in primo piano, è inchinata a sinistra e guarda nella direzione opposta; indossa un abito semplice con le spalline ed un pareo colorato.
Particolare della ragazza in primo piano
L’altra donna ha la schiena dritta e guarda verso di noi con un’espressione più seria. Sembra più grande dell’altra ragazza ed indossa un abito più accollato.
Particolare della donna in secondo piano
Alle loro spalle, in lontananza sulla sinistra ci sono un paio di persone che camminano.
Particolare delle persone in lontananza a sinistra
Curiosità: il titolo dell’opera di Paul Gauguin Nafea Faa Ipoipo forse ha a che fare con una conversazione non rappresentata in questa tela.
In questa scena non c’è prospettiva: infatti le protagoniste sono enormi e la linea d’orizzonte è molto in alto.
Particolare della linea d’orizzonte
Si serve di pochissimi colori e niente chiaroscuro.
Sono le linee di contorno a racchiudere le forme ed il volume è quasi inesistente.
A proposito dei colori, devi sapere che usa soprattutto dei toni primari, quasi irreali.
Soltanto le chiome degli alberi e l’erba sono rese con un verde acceso che rende la scena un po’ più reale.
Particolare del colore dell’erba e dell’albero
I toni utilizzati per i vestiti delle protagoniste sono molto intensi: rosso, giallo, arancione ed anche il rosa per la donna in secondo piano.
Particolare del colore dei vestiti
L’illuminazione della scena è finta, ed infatti non si capisce neanche dov’è il sole.
La struttura dell’opera è suddivisa da linee orizzontali e dai colori utilizzati.
Particolare della composizione
Gauguin ha firmato l’opera in basso a destra sulla roccia, mentre in basso a sinistra (sull’erba) c’è scritto in nero il titolo dell’opera.
• Originale in Bronzo: 150 a.C • Statua Copia: 1° secolo a.C. – 1° secolo d.C.
Altezza
Altezza: 2,42 m
Materiale
• Originale: Bronzo • Copia: Marmo
Dove si Trova
• Perduto (Originale) • Musei Vaticani, Roma (Copia)
Informazioni Statua Laocoonte
Caratteristiche Chiave
La statua originale doveva essere in bronzo ma è andata perduta. Quella che si trova ai Musei Vaticani è una copia in marmo
Il protagonista è Laocoonte con i suoi figli, un sacerdote la cui storia è raccontata nell’Eneide di Virgilio, mentre viene stritolato da serpenti marini inviati da Atena
La copia in marmo è stata riportata alla luce nel 1506 a Roma, in un terreno vicino al Colle Oppio
La statua è caratterizzata da un incredibile dinamismo dei movimenti dei protagonisti
Il corpo muscoloso del Laocoonte è in contrasto con la fragilità dei figli piccoli
I protagonisti hanno un’espressione di dolore molto accentuata, quasi teatrale
I protagonisti sono in una posizione precaria mentre cercano di liberarsi dai serpenti marini
Storia
Prima di parlarti della statua, dobbiamo fare un passo indietro e capire chi è Laocoonte.
La sua storia viene raccontata nell’Eneide di Virgilio. Era un sacerdote di Poseidone (o di Apollo, ci sono diverse versioni). Quando i Greci hanno fatto portato ai Troiani il cavallo come dono (in realtà era stracolmo di soldati che sarebbero usciti di notte una volta infiltrati nella città), Laocoonte non si è fidato ed è andato di corsa verso il cavallo colpendolo con una lancia sul ventre.
La dea Atena – che stava dalla parte dei Greci – per evitare che il piano dei Greci funzionasse, manda 2 giganteschi serpenti marini ad uccidere Laocoonte ed i suoi figli, stritolandoli.
Detto ciò, è il momento di conoscere la statua.
Il Laocoonte è una statua eccezionale, curata nei minimi dettagli.
Stando a quanto scrive Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, la statua doveva trovarsi nel palazzo dell’imperatore Tito e doveva essere stato realizzato da 3 artisti insieme: Agesandro, Polidoro ed Atenodoro.
È probabile che la statua di Laocoonte di cui parla Plinio sia quella che oggi è conservata nei Musei Vaticani.
Ed è una copia.
La statua originale era in bronzo e doveva essere stata realizzata intorno al 150 a.C., ma è andata perduta.
Dopo ciò che ha scritto Plinio il Vecchio, non abbiamo notizie della versione in marmo dell’opera per moltissimi anni.
Fino al 1506.
In quell’anno la statua salta fuori dal vigneto di un certo Felice de Fredis sul Colle Oppio a Roma.
Quest’uomo ha comprato il terreno nel 1504 e la scultura Laocoonte deve essere stata scoperta sottoterra quando sono stati fatti gli scavi per realizzare le fondamenta di casa sua.
Quando viene riportata alla luce, viene informato subito Papa Giulio II, il quale ama l’arte classica.
Così manda lì i suoi artisti di corte:
Michelangelo Buonarroti
Giuliano da Sangallo con il figlio Francesco
Una volta che l’hanno vista, il Papa compra subito la statua da Felice de Fredis.
L’opera viene messa in mostra in una nicchia nel giardino Belvedere in Vaticano (oggi fa parte dei Musei Vaticani).
Al tempo non aveva neanche una base (che è stata aggiunta nel 1511).
Nel luglio 1789 quando Napoleone Bonaparte arriva in Italia la ruba – insieme a tanti altri capolavori – e li porta in Francia.
Dopo la sua sconfitta, il Laocoonte viene riportato a Roma nel 1816.
Restauri
Quando la statua è stata riportata alla luce, era parecchio danneggiata:
Mancava il braccio destro del protagonista
Mancava la mano di un figlio ed il braccio destro dell’altro
Mancavano alcune parti del serpente
Il figlio più grande (quello sulla destra) era staccato dal resto del gruppo
Nel 1510, il Bramante – l’architetto del Papa – decide di mettere su una sorta di gara tra gli scultori per sistemare il braccio del protagonista, che era il problema più grande.
Il giudice della competizione era Raffaello Sanzio.
Vince Jacopo Sansovino.
Peccato che il suo piano è stato applicato soltanto a delle copie e non alla scultura originale.
Soltanto nel 1532, Giovanni Antonio Montorsoli (un allievo di Michelangelo) aggiungerà un braccio al protagonista rendendolo di nuovo completo.
Poi nel ‘700 Agostino Cornacchini aggiunge una parte al braccio del figlio più piccolo, e soltanto nel 1816 – quando viene riportata in Italia la statua – Antonio Canova unisce le figure.
Curiosità: nel 1906Ludwig Pollack scopre un frammento di marmo vicino a dove è stato ritrovato il Laocoonte. Si tratta del braccio perduto della statua, che viene integrato soltanto negli anni ’80.
Descrizione
Il marmo bianco della statua riflette la luce dell’ambiente circostante.
Ma il grande dinamismo delle figure genera un incredibile chiaroscuro.
Laocoonte
Puoi osservare la statua da ogni lato, anche se la maggior parte dei particolari li puoi cogliere di fronte.
L’opera rappresenta il momento in cui Laocoonte ed i suoi figli vengono attaccati dai serpenti marini.
L’uomo cerca di liberarsi utilizzando tutta la sua forza.
Particolare di Laocoonte
Sul volto ha un’espressione dolorosa, quasi teatrale.
Particolare dell’espressione di Laocoonte
Anche i figli sono disperati, mentre chiedono l’aiuto del padre.
Particolare dei figli di Laocoonte con le loro espressioni
Si nota un importante contrasto tra i protagonisti: da un lato c’è Laocoonte grande e muscoloso, mentre i figli sono fragili e piccoli.
Tutti e 3 sono in una posizione precaria a causa dell’attacco dei serpenti, con il sacerdote messo in obliquo verso sinistra rispetto a noi.
National Gallery, Washington (Replica) Museo d’Israele, Gerusalemme (Replica)
Informazioni Relatività Escher
Caratteristiche Chiave
Nella scena non c’è una singola gravità, ma 3 differenti, dove ognuna è indipendente dalle altre
I personaggi non hanno il volto, sembrano dei robot automi e non gli importa che la gravità non è normale
L’opera potrebbe ritrarre un futuro distopico (oscuro e senza speranza) e fa riflettere sulla condizione umana
Le 3 scale centrali formano un triangolo sottosopra attorno al quale ruota tutta la scena
La composizione è composta da linee oblique e non verticali che danno un senso di instabilità
Storia
Escher disegna Relatività nel 1953.
Più che un disegno è un’incisione su una tavola di legno che è stata stampata, diventando così una litografia lo stesso anno.
Una copia si trova alla National Gallery di Washington ed un’altra sta al Museo d’Israele a Gerusalemme.
Descrizione
In Relatività Escher osserviamo un ambiente irreale dove esistono – nello stesso momento – diversi tipi di gravità.
Ci sono:
7 scale
16 omini
3 piani diversi
Particolare del numero delle scale, dei personaggi e delle gravità
Cominciamo ad osservarli partendo dall’alto a sinistra.
Particolare dell’omino e della coppia vicino la balaustra
C’è una balaustra girata (rispetto a noi) ed un paio di archi dove si vedono un paio di piante ed un vaso sul muretto. Sulla balaustra c’è un uomo appoggiato rivolto verso l’ambiente interno, mentre un’altra coppia di manichini sta fuori e sta uscendo dalla scena.
È possibile raggiungere questo piano utilizzando la scala che sta a destra del pianerottolo: su questa ci sono 2 omini che la percorrono, di cui uno è più a destra e sta per raggiungere un altro piano mentre l’altro va verso il basso, andando ancora più all’interno della scena.
Particolare degli omini che camminano sulla scala in 2 direzioni diverse
Nella scala che sta sotto questa si vede un altro manichino che porta un vassoio con un bicchiere ed una bottiglia.
Particolare dell’omino con il vassoio
Forse sta andando verso la porta aperta poco più avanti.
Particolare dell’omino con il vassoio che va verso la porta (?)
Sopra questa porta si vede un altro arco esterno con un paio di manichini seduti ad un tavolo mentre mangiano all’ombra di un albero.
Particolare degli omini che mangiano al tavolo
Dall’altro lato della porta si vede un ulteriore omino di spalle che sta salendo le scale.
Particolare dell’omino di spalle
Se prendesse le scale alla sua sinistra, andrebbe verso un’altra apertura dove c’è un albero con una piccola chioma nera ed il sole che splende.
Particolare dell’omino che sale verso l’albero ed il sole (?)
Guardando sopra l’arco ci sono altri 2 personaggi: uno è seduto ad una panchina (forse sta leggendo), mentre un altro trasporta un sacco in un’altra direzione.
Particolare dei due omini, uno sulla panchina e l’altro con il sacco sulle spalle
Sono rimasti gli ultimi 3 omini:
Due sono a sinistra e stanno percorrendo le scale per uscire
L’altro invece è in basso a sinistra con un cesto, pronto per uscire attraversando un’apertura
Particolare dei personaggi a sinistra della scena
Questi sono tutti i protagonisti della scena.
Ora parliamo un attimo della composizione.
Ci sono 3 campi gravitazionali differenti, così come le scale.
Quest’ultime formano un triangolo sottosopra attorno a cui ruota tutta la scena.
Particolare del triangolo rovesciato della composizione
Non ci sono linee verticali, ma solo oblique che danno un senso di instabilità all’opera.
Significato
In questo lavoro non segue la tradizionale legge della gravità.
La scena è divisa in 3 sezioni diverse, ed in ciascuna la gravità funziona in modo differente.
Ma questo non è un problema per i protagonisti, i quali vivono tranquilli la loro vita infischiandosene di questa assurdità.
Poi nessuno ha la faccia e sono tutti uguali.
Più che persone sembrano robot o ingranaggi della scena (un elemento ricorrente nei lavori di Escher) e vivono come degli automi.
Il fatto che non ci siano colori rende l’opera ancora più cupa ed assomiglia ad un futuro oscuro (come viene mostrato spesso nei film di fantascienza).
Relatività è un’opera realizzata per far riflettere sulla condizione umana.
• Lunghezza: 180 cm • Larghezza: 50 cm • Profondità: 80 cm
Materiale
Marmo
Dove si Trova
Cappella Sansevero, Napoli
Informazioni Cristo Velato Napoli
Caratteristiche Chiave
La scultura è stata richiesta da Raimondo di Sangro per il mausoleo di famiglia, sotto la Capella Sansevero a Napoli
Doveva essere realizzata da Antonio Corradini, ma questo è morto prima di iniziare il lavoro e così la statua è stata realizzata da Giuseppe Sanmartino
Il corpo di Gesù mostra – in modo realisto – tutti i segni del martirio: ferite, capelli arruffati e le ultime lacrime causate dal dolore
Il sudario che copre il corpo di Cristo è di una trasparenza incredibile, al punto che molti credono che non sia stato realizzato con un marmo normale ma che sia stato modificato tramite l’alchimia (ma non è vero, è soltanto una leggenda)
Storia
Il Cristo Velato è una statua richiesta da Raimondo di Sangro, il quale voleva metterla nel suo mausoleo di famiglia sotto la Cappella Sansevero a Napoli.
Lì, ancora oggi, c’è una piastra di pietra che indica il punto preciso dove doveva essere messa.
Raimondo vuole che a realizzare il lavoro sia lo scultore Antonio Corradini (che aveva già realizzato per lui un’altra statua intitolata Pudicizia).
Purtroppo Antonio muore poco tempo dopo e non riesce neanche ad iniziare il lavoro, ma realizza soltanto un bozzetto in terracotta, oggi conservato nel Museo Nazionale di San Martino.
Bozzetto in terracotta del Cristo Velato di Antonio Corradini
L’incarico così finisce ad un altro scultore, Giuseppe Sanmartino.
Anche se c’è il bozzetto in terracotta da cui prendere ispirazione, lui preferisce prendere un’altra strada.
E così realizza un’incredibile statua in marmo che ritrae Gesù morto messo su un materasso, il cui corpo è coperto da un sudario trasparente (anche questo in marmo).
Descrizione
Sul viso e sul corpo di Cristo sono evidenti i segni del martirio subiti.
Ai suoi piedi ci sono gli strumenti usati per la tortura:
Particolare degli strumenti di tortura
Corona di spine
Tenaglia
Chiodi
I piedi di Gesù sono dritti, uniti ed ha le ginocchia un po’ alzate.
Il petto è gonfio ed ha la testa piegata sul lato dritto, mentre i capelli sono arruffati a seguito delle torture subite.
Gesù ha gli occhi socchiusi e – guardando da vicino – si vedono addirittura alcune lacrime che ha versato prima di morire.
Lo scultore ha firmato l’opera sul retro del piedistallo, sotto al materasso.
Nota: Purtroppo non ho trovato alcuna fotografia della firma dello scultore. Se ne hai una, lascia un commento in fondo a questo articolo, così ti contatterò per aggiungerla. Grazie!
C’è scritto “Joseph Sanmartino, Neap.fecit, 1753″.
Curiosità: Il Cristo Velato a Napoli, fin dalla sua presentazione al pubblico è stata molto ammirata anche da altri scultori. Antonio Canova, mentre era a Napoli ha tentato di acquistarla, ma non ci è riuscito.
Leggenda
C’è una leggenda attorno a quest’opera.
Da più di 250 anni moltissimi si chiedono come lo scultore abbia potuto realizzare la trasparenza del sudario usando solo il marmo.
Particolare della trasparenza del sudario
Così alcuni hanno approfondito la storia del committente, Raimondo di Sangro ed è saltata fuori la sua passione per l’alchimia.
Unendo i 2 elementi, è cominciata a circolare la storia che Raimondo abbia eseguito qualche esperimento per rendere il marmo trasparente.
Ma non è vero!
Quest’opera è un unico, intero blocco di pietra.
Nonostante sia evidente, questa leggenda è ancora viva e moltissime persone vengono a vedere questa statua dal vivo per capire come sia possibile che il sudario – anche se scolpito – sia trasparente.
Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
Informazioni Assunta dei Frari Tiziano
Caratteristiche Chiave
È la prima volta che l’Assunzione della Vergine viene rappresentata con un dinamismo incredibile e le espressioni dei personaggi molto accentuate
La scena è divisa in 3 parti: Apostoli a terra, Vergine che ascende al cielo accompagnata dagli angioletti, Dio Padre tra 2 angeli
Tiziano elimina qualsiasi riferimento alla morte della Vergine nella scena
La maggior parte dei personaggi sono collegati tra loro tramite gesti e sguardi
Tiziano sostituisce la tradizionale presenza di Gesù Cristo con Dio Padre
L’espressività ed i gesti imponenti ricordano molto le opere di Raffaello Sanzio a cui Tiziano si è ispirato
Storia
È il 1516.
In quell’anno Padre Germano, priore del convento francescano dei Frari commissiona a Tiziano una pala per l’altare maggiore della Basilica di Santa Maria Gloriosa.
L’opera dovrà essere grande e prestigiosa.
Questo è il lavoro più importante – fino a quel momento – mai ottenuto da Tiziano.
Si mette subito all’opera e, nel giro di un paio di anni, la completa.
Il 20 marzo 1518 la tavola viene inaugurata e viene messa nella struttura in marmo realizzata per l’occasione.
L’opera realizzata dal pittore lascia i frati a bocca aperta.
È qualcosa di mai visto prima: tutto questo dinamismo, colori accesi ed espressioni scioccate.
È troppo!
I committenti stanno per rifiutare l’opera, se non fosse per un ambasciatore austriaco emissario dell’imperatore Carlo V, che quando vede quest’opera ne capisce subito il valore e vuole comprarla.
A questo punto la situazione cambia.
I frati capiscono che è un’opera interessante e decidono di mantenerla nella basilica.
Ma l’Assunta di Tiziano non ha sbalordito soltanto i clienti, ma anche i colleghi del pittore.
Nessuno aveva mai realizzato nulla del genere.
Quando si doveva dipingere la scena dell’assunzione della Vergine, tutti seguivano la tradizione e rappresentavano personaggi composti e con atteggiamenti controllati.
Ma Tiziano è andato oltre.
Terminate le discussioni (e passata anche l’invidia da parte degli altri pittori), tutti capiscono che si tratta di un capolavoro.
Puoi trovare un paio di disegni preparatori di questo lavoro:
Uno si trova al Cabinet des Dessins del Louvre a proposito della composizione degli apostoli
Un altro sta al British Museum e ritrae San Pietro
Nota: Non sono riuscito a trovare delle immagini di questi disegni preparatori. Se li troverò li aggiungerò subito.
La tavola è rimasta sempre nella Basilica a Venezia, tranne durante il periodo delle soppressioni da parte di Napoleone Bonaparte.
Per ben 100 anni è rimasto chiuso nelle Gallerie dell’Accademia, per poi ritornare nel luogo d’origine, dove si trova ancora oggi.
Descrizione
L’Assunta Tiziano è gigante: è alta quasi 7 metri!
Come suggerisce il titolo, l’opera ritrae il momento in cui Maria sale in Paradiso davanti agli occhi degli Apostoli.
“Assunta dei Frari” Tiziano
Ma Tiziano non si accontenta di rappresentare questa scena come hanno fatto tanti suoi colleghi in passato.
Invece di ritrarre la morte di Maria che in seguito viene accolta in Paradiso, qui lei è viva e sale al cielo.
Ma accade tutto all’improvviso: tutti sono scioccati davanti a questa visione.
Particolare dello sconcerto di alcuni apostoli
Ma scendiamo nel dettaglio.
In basso a destra c’è un apostolo di spalle vestito di rosso (forse si tratta di Giacomo) con le braccia alzate ad indicare ciò che sta accadendo davanti ai suoi occhi.
Particolare dell’apostolo Giacomo
Sull’altro lato c’è un altro apostolo – forse Giovanni – che si mette una mano sul petto per evidenziare la sua sorpresa.
Particolare dell’apostolo Giovanni
Alla sua sinistra c’è un altro apostolo vestito di bianco e verde – si tratta di Andrea – che invece guarda con attenzione l’apparizione miracolosa.
Particolare dell’apostolo Andrea
Al centro, seduto all’ombra, con le mani giunte in preghiera e lo sguardo verso l’alto, c’è San Pietro.
Particolare di San Pietro
Sono 11 personaggi, ciascuno dei quali è ritratto con un atteggiamento di evidente sopresa.
Curiosità: nei Vangeli c’è scritto che gli apostoli erano degli umili pescatori. Per rappresentarli con delle posizioni realistiche, Tiziano si è ispirato ai barcaioli della Laguna di Venezia.
Poi c’è la protagonista: la Vergine Maria.
Particolare della Vergine Maria
Se guardi l’opera per la 1° volta, ti salterà subito all’occhio il rosso acceso della sua veste in netto contrasto con il blu (questi sono i tradizionali colori che indossa in moltissime opere; il rosso rappresenta la Passione di Cristo, mentre il blu l’umanità).
Sopra di lei c’è una sfera di luce che la divide da Dio Padre.
Particolare della sfera di luce
Ed andando ancora più su, al limite della tavola, si vede un semicerchio di volti disegnati tra le nuvole.
Particolare dei volti tra le nuvole
Questa è una rappresentazione simbolica del Paradiso, con ruote di angeli serafini che diventano sempre più luminosi man mano che ci si avvicina verso al centro, arrivando alla già citata sfera di luce.
Per rendere così intensa – quasi accecante – la sfera, Tiziano utilizza dei colori scuri sia per la Vergine che per Dio Padre, creando un evidente contrasto.
A questo proposito, dai un’occhiata al volto di Maria.
Particolare del volto della Vergine Maria
Anche se è vicinissima alla sfera di luce, parte della sua faccia è in ombra.
Non si tratta di un errore, ma è un particolare simbolico: vuol dire che Maria non ha ancora completato la propria ascesa dal mondo terreno.
Sta raggiungendo il Paradiso su una nuvola sorretta tantissimi angioletti che suonano, ballano e pregano.
Particolare degli angioletti
Tiziano, per rendere ancora più innovativa la sua opera, decide di sostituire Gesù con Dio Padre nella parte alta della composizione.
Particolare di Dio Padre e degli angeli
Qui è rappresentato solo in parte, avvolto da un mantello rosso ed accompagnato da 2 angeli che reggono le corone per Maria.
Dio è in controluce, diventando quasi evanescente e difficile da focalizzare.
Parliamo della composizione.
La scena si divide in 3 parti:
Apostoli in basso
Vergine Maria su una nuvola accompagnata dagli angeli
Dio Padre con i 2 angeli nella parte alta
Particolare della divisione della scena
Anche se la suddivisione è evidente, c’è un collegamento tra le sezioni attraverso sguardi, gesti e movimenti.
Schema dei gesti e degli sguardi che collegano tutti i personaggi
Mi spiego meglio:
Giacomo con le braccia alzate tende verso il corpo di Maria
Gli angioletti che accompagnano la Vergine con movimenti e sguardi sono collegati tra loro, gli Apostoli e Dio Padre
Maria con le braccia sollevate e lo sguardo tende verso Dio Padre
Dio ricambia lo sguardo della Vergine verso il basso
Ma la parte migliore è che questi collegamenti non sono forzati.
È tutto molto naturale e dinamico.
Oltre all’unione, c’è anche uno schema piramidale composto dai 2 apostoli vestiti di rosso e dalla testa della Vergine Maria.
Particolare schema piramidale della scena
A rendere più evidente la separazione tra il regno celeste e quello terreno ci pensa la nuvola che sorregge Maria.
Particolare del semicerchio delle nuvole
Questa fa da “muro” tra i due regni.
Tutti questi movimenti drammatici ed espressioni incredule sono dovute a ciò che stava accadendo in quel periodo in Toscana e Roma con RaffaelloSanzio e Michelangelo Buonarroti.
Questi artisti, con le loro opere e novità hanno influenzato moltissimi colleghi, Tiziano compreso.
Quest’ultimo è molto interessato alle novità di Raffaello e soprattutto nei gesti monumentali dei suoi personaggi.
Basta confrontare l’Assunta dei Frari con la Deposizione Borghese di Raffaello per trovare evidenti somiglianze (a proposito, ho scritto un articolo su questo capolavoro di Raffaello che puoi leggere qui)
“Assunta dei Frari” Tiziano (sinistra” e “Deposizione Borghese” Raffaello (destra)
Il titolo è in thaitiano e tradotto significa “Figli di Dio”. Gauguin ha usato il plurale per sbaglio
La scena è una rappresentazione della Natività cristiana con elementi della tradizione di Tahiti
Non c’è né chiaroscuro e le figure non hanno alcun volume
La trave centrale divide la scena in 3 parti diverse e senza alcun collegamento tra loro
Storia
Gauguin ha cercato per molti anni un luogo primitivo – lontano dalla Francia – dove poter sperimentare la sua arte.
E così, nel 1891, fa un 1° viaggio in Polinesia, dove ci rimane per un paio di anni.
Nel 1895 ritorna qui per rimanere.
Ed è proprio mentre è in Polinesia per la 2° volta che dipinge Te Tamari no atua.
Curiosità: Tradotto in italiano, il titolo dell’opera significa “Figli di Dio” ma è un errore. Nello scrivere in tahitiano Gauguin usa il plurale invece del singolare.
Anche se ha raggiunto il suo “paradiso”, in questo periodo il pittore non sta vivendo un bel momento.
Pahura, la sua ragazza a Tahiti ha partorito un figlio morto.
Gauguin (forse) ha rappresentato questa scena dolorosa, arrivando a sostituire l’infermiera con Tupapaù, lo spirito tahitiano dei morti.
Confronto della donna con Bambino (sinistra) con Tupapaù in “Spirito dei morti che veglia” di Gauguin (destra)
Oggi questo quadro si trova nella Neue Pinkakothek di Monaco perché prima l’aveva comprato il collezionista (e direttore dello Staatliche Antikensammlungen di Monaco di Baviera) Hugo Tschudi, il quale alla sua morte nel 1909 l’ha lasciato al museo.
Descrizione
Quest’opera rappresenta una natività“cristiana”.
Ho messo l’ultima parola tra virgolette perché non è come tutte le altre rappresentazioni fatte di questa scena da altri artisti.
Ora ti spiego meglio.
In primo piano c’è una ragazza che riposa sfiancata dal parto.
Particolare della ragazza sdraiata
Tenendo conto della scena, potrebbe essere la Vergine Maria, ma qui è ben diversa: è una donna tahitiana ed indossa un pareo blu.
Guardando da più vicino la sua testa si vede un’aureola chiara.
Particolare dell’aureola
Il letto su cui dorme è molto semplice e coperto da un lenzuolo.
Accanto a lei c’è una donna che regge tra le braccia un bambino (anche lui con l’aureola), che potrebbe essere il piccolo Gesù.
Particolare della donna con il Bambino
Come ti ho anticipato prima, questa non è un’infermiera, ma è Tupapaù, lo spirito dei morti.
Più in alto c’è una donna in piedi.
Particolare dell’infermiera in piedi
Ecco, lei è l’infermiera che si sta prendendo cura della donna che riposa.
Ma c’è qualcosa di strano.
Ha un’espressione triste e poi, alle sue spalle sembra che abbia delle ali verdi.
Particolare delle “ali” verdi
Tenendo a mente che si tratta di una Natività, allora lei potrebbe essere identificata anche come un angelo.
Sul lato destro della tela – per rimanere in tema con gli elementi dell’opera – Gauguin dipinge una mangiatoia con animali.
Particolare della mangiatoia
Questi sono gli elementi principali della tela.
Adesso parliamo un momento di stile e composizione.
Prima di tutto non c’è chiaroscuro e nessun volume per le figure.
Il pittore carica molto sui contorni per mettere in risalto i personaggi, mentre i colori sono spenti.
Tra questi risalta soprattutto il giallo del lenzuolo ed il rosso/marronedella trave.
Particolare dei colori della trave e del lenzuolo
La scena può essere suddivisa in 3 parti:
Maria sul letto
Tupapaù con il Bambino e l’infermiera-angelo
Stalla con gli animali
Curiosità: la trave di legno sembra dividere la scena in 3 parti in modo così evidente al punto da dare l’impressione che Maria sia in un piano della realtà, Tupapaù, l’infermiera e Gesù Bambino in un altro e gli animali in un altro ancora.
Divisione della scena in 3 parti
La divisione è ancora più chiara osservando i colori:
La sezione dove si trova Maria è caratterizzata dal giallo del lenzuolo
La zona di Tupapaù, del Bambino e dell’infermiera è dipinta con colori freddi (come il blu ed il grigio)
La parte con gli animali è marrone e grigia
Significato
Gauguin ha realizzato più volte delle opere con significato religioso, come Il Cristo Giallo e La visione dopo il sermone.
“Il Cristo giallo” (sinistra) e “Visione dopo il sermone” (destra)
In questo caso ha unito una scena cristiana (la Natività) alla cultura polinesiana.
Tutto qui.
Si tratta di una semplice fusione, ma attenzione: lo scopo di Gauguin non è di convertire i Tahitiani al cristianesimo, anzi.
Lui è sempre stato contrario all’azione dei missionari.
Ci sono soltanto cerchi sulla tela perché per Kandinskij è una forma geometrica che unisce le opposizioni ed è in equilibrio
Secondo alcuni studiosi i cerchi potrebbero rappresentare dei pianeti nello spazio
La scena è in 2 dimensioni, non c’è spessore
La maggior parte dei cerchi è disposta sulle diagonali dell’opera
Storia
Per spiegarti quest’opera devo parlarti del periodo che stava vivendo Kandinskij in quel momeno.
Lui è tornato a Mosca dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Qui entra in contatto con l’avanguardia artistica russa e comincia ad elaborare un proprio stile.
Si concentra soprattutto sulle forme geometriche alla ricerca di un linguaggio estetico universale.
Nel 1921 Kandinskij torna in Germania dove realizza qualche tela.
Poi nel 1922 si unisce alla facoltà della Bauhaus.
Ed è proprio qui che trova un ambiente ideale per dar sfogo alla propria arte.
In questa scuola studia il nesso tra colori (e forme) ed il lato psicologico-spirituale.
La sua ricerca lo porta a realizzare Alcuni Cerchi.
Perché proprio i cerchi?
Per lui questa forma è fondamentale:
È la sintesi delle opposizioni
Combina concentrico ed eccentrico in una sola forma in equilibrio
Oggi Alcuni CerchiKandinskij si trova al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.
È arrivata negli Stati Uniti grazie all’omonimo collezionista Solomon Guggenheim, il quale l’ha donata al museo.
Descrizione
Sulla tela ci sono cerchi colorati su sfondo nero.
Quello più grande sta (quasi) al centro, è di colore blu scuro ed ha un alone attorno a sé.
Particolare del cerchio blu
Dei cerchi più piccoli sono al suo interno, mentre altri sono sparsi qua e là sulla tela.
Alcuni studiosi pensano che questi cerchi rappresentino i pianeti nello spazio.
In effetti il nero potrebbe essere lo spazio, mentre i cerchi colorati sarebbero dei piccoli – e grandi – pianeti che si muovono seguendo le leggi della gravità (infatti quelli più piccoli ruotano nell’orbita di quelli più grandi).
Seguendo questa ipotesi, gli aloni presenti qua e là sulla tela potrebbero rappresentare le eclissi lunari.
Particolare degli aloni dei cerchi
Parliamo un momento dei colori.
Rendendo la tela nera, tutti gli altri colori tendono a risaltare.
In particolare spicca quello grande blu scuro, mentre quelli più piccoli variano in base al loro livello di brillantezza.
Se guardi con attenzione, noterai che i cerchi più piccoli in alto a destra – dentro quello più grande – sono semitrasparenti.
Particolare dei cerchi semitrasparenti
Parliamo dei colori.
In basso a sinistra, invece, succede una cosa diversa.
Particolare della catena di cerchi
Questa piccola catena di cerchi tendono a diventare sempre più luminosi.
Questi simulano il comportamento della lucequando si sovrappongono fasci di luce colorata.
La scena è in 2 dimensioni: alcuni piani sono sovrapposti, ma nessun cerchio ha spessore.
E per concludere, voglio farti notare una cosa.
Il cerchio più grande non è al centro dell’opera, ma è spostato un po’ a sinistra; quelli più piccoli, invece, sono disposti sulle diagonali della tela.