Voglio raccontarti la storia di un’opera colossale. L’autore di questa meravigliosa impresa è Jacopo Robusti. Probabilmente questo nome non ti dirà nulla, ma forse conoscerai il suo soprannome: Tintoretto. È stato uno dei più grandi pittori veneziani del ‘500, ed oggi voglio farti conoscere i segreti del suo stile parlandoti della sua opera intitolata il Miracolo dello schiavo.
Ma prima di andare avanti e dirti tutto, devo fare una precisazione molto importante.
Quest’opera ha due titoli:
- Alcuni la chiamano il Miracolo dello schiavo
- Altri la chiamano il Miracolo di San Marco Tintoretto
In entrambi i casi si tratta sempre della stessa tela.
Detto ciò, ho un sacco di cose da rivelarti a proposito di questa tela e per fare tutto chiaramente, ho deciso di scrivere questo articolo.
Quando lo avrai finito di leggere, ti assicuro che:
- Conoscerai tutta la storia ed i committenti di questa enorme composizione
- Capirai quali sono i dettagli più importanti dell’opera
- Scoprirai cosa c’entrano Tiziano e Michelangelo con il Miracolo dello schiavo Tintoretto
E molto altro ancora.
Sei pronto per conoscere a fondo questo capolavoro?
Cominciamo!
Data di realizzazione: 1548
Dimensioni: 415 x 541 cm
Dove si trova: Gallerie dell’Accademia, Venezia
STORIA
Questo è il momento più importante della carriera del Tintoretto.
Nella metà del ‘500 ha già dimostrato di essere un talento indiscusso, completando incredibili lavori come l’Ultima Cena di San Marcuola.
Non c’è dubbio.
È uno dei migliori pittori che Venezia abbia mai conosciuto.
Sai quanti anni aveva quando succedeva tutto questo?
Ne aveva compiuti giusto 29.
Il suo nome era sulla bocca di tutti.
È talmente popolare che ha ricevuto l’incarico di realizzare un’opera pubblica per la Scuola Grande di San Marco.
E a Venezia si sapeva che quella non era una scuola come tutte le altre.
Ah no?
Devi sapere che in città ci sono 6 Scuole Grandi, ed ognuna di esse ha delle pareti decorate dai capolavori di maestri che hanno lasciato un segno indelebile nella storia.
Ad esempio?
Giovanni e Gentile Bellini, Palma il Vecchio e Paris Bordon.
Molto presto anche il nome del Tintoretto si sarebbe aggiunto a questo prestigioso gruppo.
E sarebbe stato incluso grazie al lavoro del Tintoretto il miracolo dello schiavo.
A proposito, sai come ha ricevuto questo incarico?
Si, senza dubbio è merito della sua bravura.
Ma c’è dell’altro.
Facciamo un passo indietro.
Jacopo ottiene questo incarico nel 1547 grazie all’aiuto di Marco Episcopi.
E chi era?
Un uomo che quell’anno è stato eletto Guardian Grande e che da lì a poco sarebbe diventato il suocero del Tintoretto.
Per via del loro legame, Marco non ci ha pensato due volte ad aiutarlo e così ha suggerito il suo nome ai committenti.
Così si mette al lavoro e nell’aprile 1548 completa l’enorme tela.
Incredibile.
Un quadro così grande completato nel giro di un anno.
Ma non è stato tutto rose e fiori, sai?
Devi sapere che quando l’opera è stata esposta al pubblico ci sono state diverse reazioni.
Da una parte c’è chi ammirava con stupore il quadro e chi dall’altra ridacchiava e voleva soltanto che non fosse staccato dalla parete.
Jacopo si stanca in fretta di tutta questa situazione e decide di riportare il capolavoro nel suo studio.
Ma dopo pochissimo tempo anche quelli che disprezzavano la tela cambiano idea e vanno a pregare il pittore di rimettere la tela al suo posto.
Così il Miracolo dello schiavo ritorna alla Sala Capitolare della Scuola Grande di San Marco.
Per essere precisi, è stato posto su una parete con ai lati due finestre che si affacciavano verso campo San Giovanni e Paolo.
Forse non lo sai, ma questa è la prima opera pubblica del Tintoretto.
Che significa?
Che non era stato un privato a richiedere la realizzazione della tela, quindi tutti potevano ammirare la bravura ed il suo talento presenti dietro quest’opera.
Sarebbe diventato ancora più famoso.
Ma sai che il quadro non è rimasto sempre a Venezia?
Non si è spostato dalla grande sala per 200 anni, fino a quando non è arrivato il 1797.
In quell’anno la gigantesca tela è stata rubata da Napoleone ed è arrivata a Parigi.
Il lavoro del pittore veneziano rimane qui fino al 1815 per poi essere riportata nuovamente a Venezia.
Nel 1821 entra a far parte della collezione delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove si trova tutt’ora.
Infine, per conservare il capolavoro nelle migliori condizioni, è stato effettuato un restauro nel secolo precedente ed i risultati sono stati straordinari.
DESCRIZIONE
Guarda con attenzione questo lavoro.
Meraviglioso, vero?
Ma prima di farti conoscere la tela nei minimi particolari, voglio farti un’altra domanda.
Conosci la storia del Miracolo dello schiavo?
Se la tua risposta è no, non preoccuparti.
Te la riassumo brevemente.
Questa storia è raccontata nel libro medievale intitolato Legenda Aurea di Iacopo da Varazze.
In poche parole c’era un vassallo che disobbedì al suo padrone, decidendo – di sua spontanea volontà – di andare in pellegrinaggio alla tomba di San Marco a Venezia.
Dopo aver concluso il viaggio ed essere ritornato in città, il padrone sapeva della sua iniziativa già da un pezzo.
Per punire la sua mancanza di rispetto decise di fargli cavare gli occhi.
Ma – inspiegabilmente – accecarlo sembra impossibile.
Ma il padrone voleva punirlo a tutti i costi.
Così ordinò che gli venissero tagliate le gambe con un’ascia.
Ma l’ascia si spezzò.
Furioso nei confronti del vassallo, voleva che gli venisse rotta la bocca con un martello.
Proprio come con l’ascia, anche il martello si ruppe.
Non ci sono più dubbi.
Il vassallo era protetto da San Marco.
Il padrone, dopo aver capito che non poteva fare nulla, riconobbe il suo errore e chiese perdono al vassallo ed a San Marco.
Questa è la storia del Miracolo dello schiavo (o del miracolo di San Marco se preferisci).
Ora però voglio farti conoscere i personaggi che popolano la grande scena elaborata da Jacopo.
Lo vedi quell’uomo con la barba a sinistra?
Questo potrebbe essere il ritratto di Tommaso Rangone.
E chi è?
Si tratta di un grande e famoso mecenate del ‘500.
Dal lato opposto, un po’ più in alto rispetto agli altri, si sta alzando in piedi un uomo stupito.
Si tratta del padrone che vuole far punire a tutti i costi il vassallo ma si sta rendendo conto che è impossibile.
A dimostrarlo è proprio il torturatore che sta al centro e che gli mostra il martello spezzato in due.
Dà un’occhiata a terra in primo piano.
Vedi tutte quelle armi spezzate?
Sono tutti gli strumenti con cui hanno provato a fare del male allo schiavo.
Tutti tentativi andati a male.
Poi ci sono un altro paio di aguzzini che cercano inutilmente di ferire il vassallo ormai spogliato e privo di sensi.
Per rendere tutto più reale il pittore aggiunge una folla curiosa che assiste incredula all’evento miracoloso.
E poi dall’alto sta arrivando a salvare il suo protetto San Marco.
Ma sai dove risiede la grandezza del Tintoretto?
Nelle espressioni dei suoi protagonisti.
Guardando i volti di questi personaggi si impiega un mezzo secondo a capire che siamo davanti ad un evento straordinario.
Il segreto è proprio questo.
L’espressione.
Tintoretto lo sa e l’ha capito prima di tutti.
Per rendere “realistico” un miracolo è necessario che tutto sia dettagliato e reale.
Questa scena – ad esempio – è ambientata in un luogo ordinario.
Il pittore ha deciso di darci un taglio a quelle “vecchie” rappresentazioni dove il paradiso era talmente distante dal mondo terrestre da sembrare staccato.
Qui i 2 regni sono talmente vicini che sembra quasi che si tocchino.
Ma Jacopo ha un segreto.
Cioè?
Il teatro.
Lui ama gli spettacoli, gli artifici e tutto il lavoro che c’è dietro.
Ama ricostruire tutte quelle strutture che ha visto nei teatri veneziani.
Sa che per realizzare qualcosa di grande è necessario fare qualcosa di nuovo ed inaspettato.
Basta con i classici equilibri.
Bisogna regalare al pubblico un’opera rivoluzionaria.
E così introduce San Marco che plana dall’alto verso il suo protetto.
Ma non noti qualcosa di strano?
Noi vediamo senza problemi la figura celeste, ma sembra che nessuno dei presenti lo abbia notato.
Sembra che sia invisibile.
Anche questo piccolo dettaglio è molto importante.
Pensa che gli artisti che hanno preceduto il Tintoretto hanno rappresentato scene miracolose in modo completamente diverso.
Jacopo cosa ha fatto di diverso?
Te lo dico subito.
Ha:
- Unito il regno terrestre e quello divino in un’unica, spettacolare scena
- Trasformato la gente del popolo in un gruppo che partecipa attivamente alla scena diventando protagonista fondamentale
Ma non è solo questo.
C’è molto di più.
Ci sono tanti piccoli aspetti che hanno contribuito a rendere quest’opera davvero eccezionale.
Prendi il tempo di realizzazione ad esempio.
Tintoretto c’ha messo un anno.
È stato un fulmine, è vero.
Ma questo non significa che abbia trascurato i dettagli.
Ogni singolo personaggio è caratterizzato da movimenti dinamici e le pennellate con cui gli ha dato “vita” sono meravigliose.
Alla fine, il suo obiettivo è soltanto uno.
Coinvolgere al 100% lo spettatore nella sua scena, esattamente come farebbe un regista teatrale.
Per farlo deve puntare tutto su un evento miracoloso in grado di spezzare la normalità della realtà quotidiana.
Deve provocare sconcerto.
Come può realizzare tutto ciò in un quadro?
Lavorando con attenzione sui colori.
Se guardi con attenzione tutta la composizione, ti renderai conto che ogni tono è energico e le pennellate sono decise e rapide.
Non c’è nulla di lineare.
Voglio farti notare un’altra cosa: la luce.
Lavorando con attenzione riesce a dar vita a dei magnifici chiaroscuri.
Che ruolo ha la luce in questo lavoro?
Il suo compito è fondamentale.
Pensa che il Tintoretto si serve non di una, ma di 3 fonti di luce differenti.
Ecco quali sono:
- La luce calda e naturale che proviene dallo sfondo
- La luce emanata dall’aureola del santo
- La luce più forte (quasi violenta) che proviene dalla nostra realtà
Ognuna di queste investe i dettagli in modo tale da irradiare oggetti e personaggi presentando dei contrasti sensazionali.
Ma gestire la luce in un’opera del genere non è molto facile.
Sai cosa significa?
Ricorda che la destinazione finale dell’opera era la Scuola Grande di San Marco.
Per essere precisi, la tela era appesa su un muro con ai lati una coppia di finestre che si affacciavano direttamente sul campo dei santi Giovanni e Paolo.
Questo cosa c’entra?
Quella posizione ha un vantaggio ed uno svantaggio:
- Si tratta di un luogo privilegiato e la tela è in bella vista
- È un punto scomodo perché è illuminato da una luce eccessiva proveniente dalle finestre laterali
Quest’ultimo punto non è da sottovalutare.
A causa della troppa luce non sarebbe stato possibile ammirare l’opera in tutta la sua bellezza.
E allora sai cos’ha fatto il Tintoretto?
Ha inserito nel quadro la “finta” presenza di una 3° finestra inserendo nella scena edifici, colonne e ruderi qua e là.
Poi ha fatto in modo che una delle luci provenienti dalle finestre si riversasse all’interno della composizione.
Sto parlando dell’illuminazione proveniente da destra.
Ma c’è dell’altro che devi sapere a proposito dell’architettura che circonda tutta la scena.
Si intravedono colonne e qualche edificio qua e là, mentre sullo sfondo si vede un’architettura con un muro che sembra circondare un giardino.
Non c’è dubbio.
Pare di essere davanti ad una scenografia teatrale.
Ma fidati, ogni dettaglio è stato ideato con uno scopo ben preciso.
Vogliamo parlare delle linee di fuga, ad esempio?
Se guardi con attenzione noterai che prolungando le linee che compongono la loggia a sinistra ed il supporto a destra su cui siedono i soldati, riporteranno tutte alla mano destra di San Marco.
Quello è il centro della scena miracolosa.
Riguardando più volte il santo ho avuto la strana sensazione di averlo visto già da qualche parte.
Il santo che plana in basso per salvare il suo protetto mi ricorda un po’ l’angelo disteso nel martirio di San Matteo di Caravaggio.
Noti anche tu questa somiglianza?
E poi c’è un altro aspetto che mi incuriosisce.
Il Tintoretto è riuscito a riassumere l’intera vicenda in una singola scena.
Non ci credi?
Continua a leggere.
- In primo piano ci sono le armi per la tortura rotte e questo vuol dire che il miracolo è già accaduto
- Attorno ai protagonisti c’è il popolo che guarda con stupore la scena
- Uno degli aguzzini solleva il martello e lo mostra al padrone, dimostrando che lo schiavo è protetto
- San Marco plana per salvare il vassallo
Sono i fatti fondamentali della storia e si svolgono sia a sinistra che a destra della composizione.
STILE
Voglio dirti un paio di cose sullo stile pittorico del Tintoretto.
Molti critici considerano il martirio dello schiavo la sua opera più rappresentativa.
Se ci pensi un attimo, ti renderai conto che c’è tutto:
- Espressioni teatrali
- Vivacità narrativa
- Straordinario utilizzo della luce
- Un fenomenale chiaroscuro che unisce tutti i protagonisti
E poi ci sono Tiziano e Michelangelo Buonarroti.
Cosa c’entrano?
Ora ti spiego.
Analizzando con attenzione il quadro saltano fuori evidenti riferimenti a queste due leggende dell’arte.
Da loro Tintoretto prende in prestito un paio di cose:
- L’attenzione per l’anatomia e per le figure umane tipiche di Michelangelo
- Un uso del colore molto particolare e caratteristico di Tiziano
Sono proprio i colori a rendere molto più evidenti i movimenti dei protagonisti.
Dà un’occhiata al rosso che Tintoretto ha utilizzato per vivacizzare la veste di San Marco; oppure guarda l’arancione della donna di schiena sul lato sinistro, o ancora il blu delle due figure a destra.
Ma non bisogna dimenticare il bianco pallore della pelle del vassallo, ulteriormente esaltato dalla luce chiara che illumina la scena.
Tintoretto gioca con tonalità intense e forti contrasti.
Il risultato è stupendo.
E questo cosa c’entra con Tiziano?
Per fare questi “esperimenti” con i colori ha studiato molti lavori del suo collega Tiziano.
Dà un’occhiata all’aguzzino al centro del quadro del Tintoretto e confrontalo con l’apostolo che si vede nell’Assunta dei Frari.
Noti qualche somiglianza?
Lo stesso discorso è valido anche per Michelangelo Buonarroti.
Guarda attentamente San Marco che arriva dall’alto.
È una figura muscolosa e che ricorda – senza dubbio – le caratteristiche figure del Buonarroti.
Anche la donna in arancione ricorda molto l’anatomia di Michelangelo.
Ed infine c’è una figura che il Tintoretto ha “copiato” dallo scultore/pittore.
Qual è?
L’uomo sdraiato sulla destra che guarda l’aguzzino.
È identico alla statua del Crepuscolo di Michelangelo.
Si assomigliano, vero?
Ma i richiami al Buonarroti si sprecano.
Se osservi la vivacità ed il caos presente nell’opera del Tintoretto e la confronti con la Conversione di San Paolo noterai altre coincidenze.
Come ad esempio il fatto che entrambe le scene sono ambientate in un luogo affollato.
Ora voglio svelarti un segreto.
Ricordi la donna di spalle con la veste arancione?
Lei è l’unica figura femminile in tutta l’opera.
Qui il Tintoretto la rappresenta mentre si volta per osservare la scena miracolosa.
È una figura molto intrigante e che ha stuzzicato la curiosità di altri pittori.
Come Rubens ad esempio, il quale nella Crocefissione di Santa Walpurga ha inserito una figura che la ricorda molto.
Entrambe hanno in braccio un bambino e sono in una posizione molto simile.
Infine, questo è un capolavoro che dimostra come il Tintoretto sia enormemente migliorato rispetto ai suoi precedenti lavori.
Ha realizzato delle figure di un realismo senza precedenti rielaborando modelli dei suoi colleghi ed aggiungendo dettagli unici e stupefacenti.
L'articolo Miracolo dello schiavo del Tintoretto: la meraviglia del teatro veneziano proviene da .